TUTTI IN VACANZA CON GIUSEPPE CULICCHIA (di Matteo Fais)
L’uomo ha una grande fortuna, non guardarsi mai dal di fuori, insomma come potrebbero vederlo gli altri. Se potesse, ne morirebbe. “L’inferno sono gli altri”, dice Sartre, o ognuno di noi quando si contempla con il disincanto dello sguardo altrui. Ridicolo, cafone, infame, miserabile, autoreferenziale e così tristemente attaccato a questa piccola mania che si chiama vita.
Pensate cosa accadrebbe all’italiano in vacanza se si osservasse attraverso la lente di simpatico sadismo di uno scrittore. Gli stabilimenti balneari fallirebbero, Venezia scenderebbe dritta nell’abisso, e gli aspiranti influencer aspetterebbero settembre per andare a lavorare alla vendemmia.
Immaginatevi, poi, se l’autore in questione fosse il migliore dei viventi, da Palermo ad Aosta, Giuseppe Culicchia. Bene, è successo, il testo esiste, è appena uscito e si intitola A Venezia con un piccione in testa. Storia tragicomica degli italiani in ferie (Solferino). Il torinese, che aveva già scritto una delle più belle storie della letteratura italiana con ambientazione balneare, Un’estate al mare, torna sull’argomento vacanze, questa volta con un saggio agile e simpaticissimo che è, incidentalmente, l’ideale da leggere sotto l’ombrellone per ridere con più gusto di chi ci circonda e, perché no, di noi stessi.
E ridendo e scherzando, Culicchia lo dice e non c’è scampo: “Siamo sinceri: abbiamo ridotto il mondo a uno sfondo per i nostri selfie”. Stavo appunto cominciando a scrivere che ho visto due ragazze, proprio come è raccontato nel testo, che si sono agghindate a dovere per poi scattarsi vicendevolmente circa duecento foto che, suppongo, adesso, staranno postando su Instagram. E mi dicevo: “l’obiettivo in realtà non è riposarsi o mangiare o vedere qualcosa di nuovo, bensì scattare il selfie nella location in cui, di volta in volta, si sono fatte queste cose per mostrare agli altri di averle effettivamente fatte.”
È veramente difficile trovare un passo per cui dare torto allo scrittore di Tutti giù per terra, guardando la gente che mi circonda su questa spiaggia, tutti rigorosamente sprovvisti di un libro: “In un Paese che drammaticamente non legge, e se legge non è detto che capisca davvero ciò che legge visto l’incalzare certificato dell’analfabetismo di ritorno, nel corso degli ultimi anni le librerie italiane sono state invase da libri sul cibo, scritti da cuochi più o meno stellati e/o ospitati in tivù e da personaggi televisivi noti alle masse per il fatto di condurre programmi sul cibo”. Quando mi tolgo le cuffie e li sento parlare, ora che ci penso, l’unico argomento è il cibo, dove andare a cena per trovare del buon pesce.
Che stress! Ma lo sappiamo tutti che dalle vacanze si torna più stanchi di prima e ci vorrebbe una vacanza per riprendersi dalla vacanza. Del resto, dobbiamo tutti lavorare di smartphone per farci notare, perché “Se all’inizio della diffusione dei telefoni cellulari e dei computer portatili con le annesse possibilità di collegamento proprio queste ultime venivano considerate una forma suprema di libertà, si è giunti all’effetto contrario: il massimo della libertà consiste nel rendersi irreperibili, e dunque nello spegnere tutti gli aggeggi elettronici di cui si è fatta incetta. Solo così si è davvero in vacanza”.
Peccato che nessuno lo faccia – io per primo. Ben venga dunque che qualcuno – e chi meglio di lui – ce lo ricordi che razza di deficienti che siamo, perché “scrivere” è “cercare di raccontare, per quanto sia possibile e nella misura in cui gli strumenti di cui si dispone lo consentano, le cose come stanno, anziché evitare di farlo perché qualcuno potrebbe infastidirsi al cospetto della dura e non di rado spiacevole realtà”.
Tra le tante frecce avvelenate che contiene A Venezia con un piccione in testa, a ogni modo, si segnala la poeticissima sezione – un unicum nell’economia del volume – dedicata alla Sardegna e, in particolare, a un suo piccolo e sperduto paesino. “Ecco: a Neoneli, specie nelle ore del giorno o della notte in cui vagabondando per le sue vie non ci s’imbatte che nella propria ombra, ogni cosa sembra perdere peso di fronte alla smisuratezza del Tempo e dello Spazio, percepibili anche solo alzando gli occhi al cielo da un cortile”. Non ci vedete anche voi un piacevole eco dei versi montaliani “Vedi, in questi silenzi in cui le cose/ s’abbandonano e sembrano vicine/ a tradire il loro ultimo segreto […]/ Lo sguardo fruga d’intorno,/ la mente indaga accorda disunisce/ nel profumo che dilaga/ quando il giorno più languisce./ Sono i silenzi in cui si vede/ in ogni ombra umana che si allontana/ qualche disturbata Divinità”?
Ma tornando alla bruttura di un sole che brucia in modo preoccupante il cervello dei vacanzieri e fa sudare fastidiosamente fino a ottenere un effetto pecora abbrustolita, è bene saperlo, l’alternativa del restare in città non è migliore. Restano solo i centri commerciali con i loro condizionatori perennemente accesi. Oppure, c’è la nostra dimora, in cui, però, “complici Amazon e le serie tivù su Netflix e le consegne di cibo a domicilio, ormai l’italiano a meno che non si tratti di partire per le vacanze vuole uscire di casa il meno possibile”. Mi sa che, forse, è meglio andare a farsi un tuffo, possibilmente senza selfie.
Matteo Fais
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L’AUTORE
MATTEO FAIS nasce a Cagliari, nel 1981. È scrittore e agitatore culturale, fondatore, insieme a Davide Cavaliere, di “Il Detonatore”. Ha scritto per varie testate (“Il Primato Nazionale”, “Pangea”, VVox Veneto”). Ha pubblicato i romanzi L’eccezionalità della regola e altre storie bastarde e Storia Minima, entrambi per la Robin Edizioni. Ha preso parte all’antologia L’occhio di vetro: Racconti del Realismo terminale uscita per Mursia. È in libreria il suo nuovo romanzo, Le regole dell’estinzione, per Castelvecchi.