L’EDITORIALE – PERCHÉ CHI NON VENDE IL LIBRO DELLA MELONI È UN IGNORANTE (di Matteo Fais)
Non ho letto il libro della Meloni. Perché? Non me ne frega un cazzo. Il personaggio non mi rappresenta niente. La Meloni è una progressista mascherata. Almirante e Rauti si sarebbero messi a ridere vedendola vantarsi di una presunta continuità con loro.
La Meloni sta dove sta solo perché adesso è invalsa questa moda di mettere una donna in posizione di potere in quanto donna. Del resto, lei è figlia di nessuno, come scriveva in illo tempore Giorgio Bocca di Gianfranco Fini. Altro che fascismo e fascismo!
L’unica giustificazione che posso fornirle – che poi è la stessa che avanzerei per Salvini – è di essere figlia del suo tempo, un tempo davvero infame quanto a caratura intellettuale delle sue maschere tragiche. L’Umberto Bossi degli esordi, per dire, a fronte della padanietà posturale e lessicale, era tutto fuorché un rozzo. Anzi, possedeva idee esplosive, aveva a suo modo da avanzare un critica al mondo globalizzato che pian piano si andava delineando nei suoi tratti inquietanti, e aveva capito il conflitto tra tradizione e progressismo che si sarebbe venuta a creare.
Ma, davvero, non è questo il problema. Bossi, Almirante, Rauti, la loro cultura in contrapposizione a quella della Meloni: non ce ne frega niente. Il punto è la presunta resilienza di questi librai che si rifiutano di venderla adducendo motivi francamente ridicoli per qualsiasi persona con alle spalle anche solo dei buoni studi liceali.
Che diamine vuol dire non dare spazio tra gli scaffali del proprio negozio a chi “promuove l’intolleranza”? Tralasciamo che ogni giorno compriamo articoli di grandi marchi che, a parole, promuovono i diritti civili e poi assemblano i loro prodotti in fabbriche dove lavorano bambini e personale sottopagato. Se ci limitiamo alla produzione intellettuale occidentale, vediamo che essa gronda intolleranza, omofobia, misoginia da ogni riga. E non sto parlando di sconosciuti, ma delle architravi del nostro mondo, quelle che la cancel culture vorrebbe buttare giù senza pietà.
“Che cos’è la donna per l’uomo? Due cose vuole il vero uomo: pericolo e gioco. Perciò, vuole la donna, come il giocattolo più pericoloso. L’uomo deve essere educato per la guerra e la donna per il ristoro del guerriero: ogni altra cosa è stoltezza […] La felicità dell’uomo dice: io voglio. La felicità della donna dice: egli vuole […] Vai dalle donne? Non dimenticare la frusta!”: sapete chi ha scritto questi passaggi? La Meloni, Almirante, Salvini? Vorrebbero! È Nietzsche, in Così parlo Zarathustra. Magari la Meloni fosse animata da una tale sublime intolleranza. Se qualcuno le leggesse queste righe inorridirebbe, povera femmina.
Ma non vi basta, vero? Leggetevi questo stralcio tratto da uno dei romanzi più venduti di fine Novecento e, ancora oggi, amatissimo: “Trascorsi tutto il fine settimana a scrivere un pamphlet razzista, in uno stato di erezione quasi costante; il lunedì successivo telefonai a ‘L’Infini’. Stavolta Sollers mi ricevette nel suo ufficio. Era vispo, ammiccante, come in televisione – addirittura meglio che in televisione. ‘Lei è un razzista vero e proprio, si sente, capperi, niente male!’ Fece un piccolo gesto con la mano, un gesto molto aggraziato, prese uno dei fogli, c’era un passaggio segnato a margine: ‘Noi ammiriamo e invidiamo i negri perché sul loro esempio vorremmo tornare animali, animali dotati di un grosso cazzo e di un minuscolo cervello da rettile, appendice del loro cazzo.’ Sventolò allegramente il foglio. ‘È salace, brioso, fa molto aristocratico. Lei ha talento. Certo, c’è qualche scivolata sul didascalico, tipo quel sottotitolo, Razzisti non si nasce, si diventa: non si offenda, ma non mi piace affatto, è un’excusatio non petita, non so…”. Per chi non lo sapesse, questo è il Houellebecq di Le particelle elementari. Dubito che il testo della Meloni sia lardellato di passi tanto controversi.
E ricordate, questo è niente. Non tiro fuori altri classici e non mi avvalgo di pensatori greci e latini perché, se solo doveste leggerli – come dovrebbe già essere avvenuto, ma evidentemente non è stato –, vi mettereste le mani nei capelli dalla ferocia di certi capoversi. In verità, solo la letteratura e l’arte degli ultimi decenni hanno preso questa brutta piega edificante da Libro cuore progressista. Solitamente, come dice anche Walter Siti nel suo Contro l’impegno, esse danno ragione a chi ha torto e torto a chi ha ragione.
Per carità, direte voi, ma il testo della Meloni non è narrativa né poesia. Sicuramente, cionondimeno, se veramente un libraio dovesse eliminare dagli scaffali tutti i testi in cui vi sono manifestazioni di un pensiero intollerante, poco ma sicuro, farebbe prima a usare il napalm e dare fuoco al locale.
Matteo Fais
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L’AUTORE
MATTEO FAIS nasce a Cagliari, nel 1981. È scrittore e agitatore culturale, fondatore, insieme a Davide Cavaliere, di “Il Detonatore”. Ha scritto per varie testate (“Il Primato Nazionale”, “Pangea”, VVox Veneto”). Ha pubblicato i romanzi L’eccezionalità della regola e altre storie bastarde e Storia Minima, entrambi per la Robin Edizioni. Ha preso parte all’antologia L’occhio di vetro: Racconti del Realismo terminale uscita per Mursia. È in libreria il suo nuovo romanzo, Le regole dell’estinzione, per Castelvecchi.
Perchè il napalm? Non serve mica: la carta brucia a 451°Farhrenheit (il napalm a 1470).