L’EDITORIALE – I BUONI (di Davide Cavaliere)
C’è quello lì, quello che si reputa l’Antigone del XXI secolo, il bromidrico Lorenzo Tosa, che ha scritto un post innaffiato di lacrime sul bambino recuperato in mare in quel di Ceuta. Nulla di nuovo, ma non sono le sue parole grondanti di speranza tarocca a sorprenderci, bensì il modo in cui sono state commentate.
Gli appunti e le postille comparsi sotto al suddetto post sono una colata lavica di umanitarismo becero; un vero e proprio delirio sentimentale. Gli angelici seguaci del più progressista dei giornalisti si sono scatenati in un sabba di buoni sentimenti, talmente iperbolici da rivelare la loro inautenticità.
L’indignazione speranzosa, le emozioni colorate dei discepoli di Tosa sono, totalmente, artificiali. Indotte come salivazione nei cani di Pavlov. La torma benevola che si coagula sulla sua pagina prova stizza e bontà solo di fronte a talune vittime ed eventi.
Se qualcuno suona il campanello dell’immigrazione, i militanti della solidarietà coatta cominciano a schiumare filantropia. Al contrario, nessuna tragedia riguardante italiani, uomini bianchi o cristiani, smuoverà mai il loro cuore singhiozzante.
I commenti al post in questione sono un sintomo della malattia dell’uomo bianco, un morbo chiamato “senso di colpa” verso ogni non occidentale.
Il “tosiano” medio si nutre di notizie gonfie di emotività, l’apice della sua esistenza consiste nel poter sfogare la sua umanità in rete, compulsarla su Facebook a sostegno di vittime mediatiche.
La vicinanza ai sofferenti, in loro, è pura ideologia, terzomondismo impregnato di buoni sentimenti. L’umanitarismo degli “umani” non ha nulla di spontaneo. Per questo, come in quel simpatico film di Woody Allen, Basta che funzioni, citando il suo protagonista, Boris, questa gente dovrebbe fare un paio di mesi in un campo di sterminio. No, non per morire, ma per vedere con i propri occhi la realtà dell’umanità di cui tanto sproloquiano.
Davide Cavaliere
Parole sante