ISRAELE E PALESTINA: IN GUERRA, TORTI E RAGIONI NON ESISTONO (di Franco Marino)
Credo di aver già confidato un mio sogno: quello di mettere da parte un bel po’ di quattrini e comprare quei venti ettari di terreno che furono del mio nonno paterno fino all’inizio degli anni Ottanta quando, fiaccato dall’avanzare degli anni e dal fatto che tutti i figli ormai si erano trasferiti in città, lontani per giunta quasi trecento chilometri e con poca voglia di fare i contadini, decise di venderlo. Se quel vecchietto fosse campato fino ai miei vent’anni, mi sarei iscritto ad Agraria solo per avere le competenze per amministrarlo e godere la bellezza della vita di campagna. Sfortunatamente se n’è andato poco dopo la mia nascita e quindi è andata così.
Se rivoglio quel terreno, dunque, lo devo ricomprare. Devo affrontare la prospettiva che il nuovo proprietario non voglia venderlo, devo poi vedere se mi convenga farlo perchè un conto sono i sogni, altro conto è la realtà.
Insomma le incognite sono numerose. Certo è però che se io per riottenere quel terreno vantassi dei diritti divini, oppure pretendessi che il legittimo proprietario me li restituisca gratis, rischierei di farmi ridere dietro. Se, viceversa, fossi amico di un giudice che casomai ha interesse a che quel terreno torni a me, oppure disponessi di un quantitativo di uomini armati in grado di costringerlo con la forza a cedermelo, magari senza dargli un euro, di fatto mi sarei conquistato il diritto di ritornare in possesso del terreno. Semplicemente perchè ho dimostrato di essere, in un modo o nell’altro, più forte io.
Il conflitto tra Israele e Palestina è qualcosa di simile. A tal proposito, fuor di metafora, chi chiacchiera dei “diritti dei palestinesi” o di quelli israeliani, non si rende conto di dire assurdità. Se il concetto di diritto è meramente giuridico, nè Israele nè la Palestina hanno un diritto che giustifichi a priori la propria esistenza. Possono avere la forza di conquistarli: non più di questo. Ma questo equivoco ha a che fare con il moralpedagogismo scolastico, attraverso il quale si fa credere agli studenti che la pace sia qualcosa di scontato, di immutabile, che si viva una fase storica definitiva e irreversibile. Invece, le considerazioni sulla guerra travalicano le epoche e sono estranee ad ogni forma di morale o di umanità. E in questa materia non c’è da sperare nessun progresso. In una vicenda storica in cui il programma è quello di uccidere a milioni, e il rischio è quello di essere uccisi a milioni, s’immagini quanto possono pesare le altre motivazioni.
Invece, in tempo di pace, la gente continua a farsi illusioni. Per esempio riguardo al rapporto che ogni popolo ha col suo territorio. Molti credono che se c’è un Paese chiamato Francomarinolandia, abitato da sempre dai franchi marini, i quali parlano francomarinese ed hanno come religione il francomarinismo, anche nel caso di una sconfitta quel Paese non potrà che continuare a chiamarsi Francomarinolandia ed essere abitato dai franchi marini. E tutto ciò non è affatto vero.
Per migliaia di anni, i territori che oggi fanno capo ad Israele sono sempre stati di altri paesi. Fino al 1922 sono stati dell’Impero Ottomano che, uscendo sconfitto dalla Prima Guerra Mondiale, avviò quel declino che lo portò pochi anni dopo alla sua dissoluzione. Fino al 1948, quando quei territori passarono ad Israele, essa fu sotto il controllo della Gran Bretagna. Si noti, quando si dice che “non ne avevano diritto”, il tempo imperfetto. Non ne avevano, significa che quel diritto oggi ce l’hanno. Perchè essendo quello di “diritto” un principio meramente giuridico, per definizione esso acquisisce forza solo quando c’è uno stato in grado di imporlo. Fu questo che fece dire nell’antica Roma non si sa a chi, in tal senso le ipotesi si sprecano, “ubi societas, ibi ius”, dove c’è una società, vi è il diritto.
Israele su quei territori vantava dei diritti. Non conta quanto sia ridicolo che si asserisca che essi siano validi perchè lo dice la Bibbia. Nè tantomeno ha senso l’obiezione (fondata sul piano storico ma infondata su quello giuridico) che esista una millenaria nazione ebraica. Esistono tante nazioni al mondo che non hanno un territorio, si pensi alla nazione curda. Il dato di fatto è che ad un certo momento Israele ha avuto la forza di occupare quei territori ed è nato lo stato di Israele, i curdi questa forza non ce l’hanno. E non la posseggono i palestinesi. Ed è, questa, la sola unica vera cosa che conti.
Alla fine di una guerra, il principio generale è che il vincitore ha tutti i diritti (incluso quello di uccidere i vinti) e il vinto non ha nessun diritto. Perfino nel caso di una resa a condizioni, il rispetto delle condizioni, da parte del vincitore, è basato sul suo senso dell’onore. E non sempre ci si può contare. La parola diritto, nell’ambito internazionale, non vale nulla. Fra gli Stati si ha un diritto quando si ha la forza di imporlo. O si può imporlo grazie ad un forte alleato che, va da sè, poi chiederà il conto. Come lo chiesero i francesi e gli inglesi all’Italia quando si trattò di ottenere l’indipendenza. O come lo chiesero gli americani per “liberare l’Italia”. Il diritto internazionale, di cui tanti si riempiono la bocca, è un regolamento liberamente consentito, efficace finché si ha la volontà di rispettarlo.
Nei suoi comportamenti il vincitore non è limitato dal diritto e nemmeno da Convenzioni come quelle di Ginevra. Infatti, se non rispetta i trattati ed è in grado di difendersi, non subisce alcuna sanzione. Quello che spesso lo limita è soltanto l’interesse. Quando alla fine della Prima Guerra Mondiale i francesi esagerarono, nella loro volontà di vendetta contro la Germania, circa un decennio dopo ebbero modo di pentirsene. Analogamente, francesi e inglesi esagerarono quando negarono il bottino pattuito all’Italia. Con gli stessi presupposti dei palestinesi, potrei dire che l’Istria e la Dalmazia spettino di diritto all’Italia ma c’è un piccolo problema: oggi come oggi l’Italia non ha la forza di far valere quel diritto e il risultato è che quei territori li occupa la Croazia.
Viceversa, alla fine della Seconda Guerra Mondiale gli Stati Uniti compresero che gli conveniva avere l’Europa Occidentale come alleata e trattarono da vittime dei dittatori perfino quegli italiani e quei tedeschi che i dittatori li avevano ampiamente applauditi. Nutrirono le popolazioni e concessero prestiti per la ricostruzione, e il risultato fu estremamente positivo. Oggi che quella convenienza non c’è più, ecco venire meno tutti quei diritti di cui ci riempiamo la bocca, non rendendoci conto che il concetto di diritto ha senso fin quando si ha la forza necessaria per farli rispettare.
E’ inutile illudersi, per dire, che la classe politica al governo rispetterà i diritti dei cittadini perchè proprio l’esperienza del covid dimostra che quando la classe politica ha un interesse a violarli e dispone di forze necessarie per corrompere o ricattare le cinghie di trasmissione del suo potere (media, giustizia, banche) quei diritti vengono semplicemente calpestati. Fin quando non nasceranno forze in grado di opporsi.
E’ parimenti inutile dunque che israeliani e palestinesi vantino pretese su quei territori e soprattutto che decine di milioni di buontemponi in ogni parte del globo terracqueo facciano il tifo per gli uni o per gli altri. Purtroppo la guerra da quelle parti finirà in due soli casi. Il primo è che una delle due fazioni distrugga l’altra. Il secondo è che le forze internazionali che sostengono tatticamente le ragioni dell’una e dell’altra parte si ritirino e cessino di appoggiarli. Cosa che non conviene a nessuna.
E il motivo è semplice. Si è sempre osservato che gli Stati Uniti siano filoisraeliani e filoebraici. Ma questo non è sempre stato vero. Ha cominciato ad esserlo solo quando serviva un valido pretesto per dare agli americani una sorta di autorizzazione morale ad occuparsi del Medio Oriente. Prima della guerra dei sei giorni, nel 1956 Eisenhower cacciò a pedate gli ebrei dal Sinai. E del resto, sull’antisemitismo statunitense esistono non pochi libri e film, inseriti in quel meraviglioso filone realista del cinema americano degli anni Quaranta, da The House I Live In a Gentleman’s Agreement del 1947 di Elia Kazan con John Garfield e Gregory Peck ma anche il celebre Crossfire sempre di quegli anni. Tutti fatti sparire e messi fuorilegge non appena agli USA convenne sostenere le ragioni di Israele e dunque occuparsi della questione ebraica. E questo vale anche per la causa palestinese, ovviamente. L’URSS ha sostenuto le rivendicazioni palestinesi in chiave antiamericana e antisraeliana. Oggi che l’URSS non c’è più, quel ruolo è stato ereditato dalla Russia, sostenuta dall’Iran e da alcuni (non tutti) paesi arabi. Che hanno interesse a non risolvere una volta e per tutte quel conflitto.
Fino a quel momento, il concetto di diritto vantato da Israele e Palestina è semplicemente ridicolo. Se Israele vuole imporre i propri diritti non ha che da sterminare i palestinesi. Se i palestinesi vogliono imporre i propri, non ha che da sterminare gli israeliani. Oppure occorre sperare che si trovi un accordo che soddisfi entrambe le parti e gli alleati. Fino a quel momento le rivendicazioni di ambedue le parti sono ridicole nè più nè meno di come lo sarebbero le mie sui terreni di famiglia.
Se, invece, volete un responsabile del conflitto tra israeliani e palestinesi, invece di giocare a Milan e Inter, rivolgetevi a tutti quegli attori geopolitici che del resto hanno trasformato anche la Siria, la Libia e altri territori in un perenne campo di battaglia.
E che da decenni hanno interesse a che Israele e Palestina continuino a scannarsi.
FRANCO MARINO
Bell’articolo, sono d’accordo