L’EDITORIALE – SINDACATO INFLUENCER? IO, FIGURARSI, MI DOMANDO ANCORA IL PERCHÉ DELLA LORO ESISTENZA (di Matteo Fais)
È un mondo molto strano il nostro. Virologi che twittano, cantanti che parlano di diritti civili, politica e immigrazione, personaggi televisivi prestati alla narrativa. Insomma, come diceva il saggio al bar, “il mondo è bello perché è avariato”.
Quelli che mi lasciano più sconcertato, però, sono gli influencer. La Ferragni, per intenderci, la immagino come una specie di ologramma messo su secondo qualche piano segreto dei cosiddetti poteri forti per vedere se ci beviamo ogni loro stronzata. Voglio dire: che cazzo fa la moglie di Fedez? Almeno quest’ultimo canta – si fa per dire. Ma lei? Mi è oscuro. Indossa abiti, pigiamini firmati, mangia panini con hamburger, mette il suo simbolo sulle bottigliette d’acqua. Non so, ma qualcuno compra veramente quella roba? Non ne ho idea. A me la ragazza, in tutta onesta, non mi pare neppure sto figone imprescindibile. Per dire, non andrai in America per scoparci, se una così mi scrivesse. Mi sembra una ragazzina carina e niente più, come ne vedo a centinaia ogni volta che esco a passeggiare per un’oretta.
Mi domando cosa ci veda la gente e come possa farsi influenzare da lei. Io non mi faccio influenzare nelle mie idee letterarie neppure da un critico blasonatissimo come Harold Bloom, uno che diceva il peggio possibile di Stephen King e H.P. Lovecraft. Anche se lui li valutava due pellegrini della letteratura, prodotti da supermercato, io continuo ad apprezzare i racconti del genio di Providence e a ritenere Carrie, Ossessione ed It dei romanzi di tutto riguardo.
Mi fa incazzare persino se qualche lettore, dopo che ho stroncato un testo, mi posta un commento stile “Visto che lo bocci, non lo leggerò”. Non amo la fede cieca, anche se rivolta verso di me. Io, ogni volta che non mi sono fidato del giudizio di uno famoso, ho scoperto libri, film, canzoni che poi ho amato alla follia. Come principio di massima, insomma, ascolto tutti, ma poi mi faccio una mia opinione autonomamente.
A ogni buon conto, scopro addirittura che questi influencer, in Italia, vorrebbero costituirsi in associazione sindacale, o fondare un sindacato che li tuteli. Ho sentito che tra le rappresentanti dell’iniziativa vi sarebbero Mafalda De Simone e Paola Di Benedetto. Costoro avrebbero tipo 177 mila e 1,7 milioni di follower e guadagnerebbero da queste fotografie che postano. Io non sapevo neppure chi cazzo fossero, figurarsi. Sono andato a fare un giro sui loro profili. Ho visto come al solito un po’ di costumi da bagno scollacciati, due cosce accavallate, qualche mutanda in vista. Niente che mi abbia granché emozionato, o non avessi già visto nella realtà. Persino loro due non mi sono parse esattamente delle bellissime ragazze. Sì, accettabili, ma niente per cui morire all’istante di crepacuore.
A un’occhiata veloce, anche nel loro caso, non sono riuscito a comprendere che cosa ispiri tanta fiducia nei seguaci da prenderle a modello. Mi pare che qualsiasi donna, così a occhio e croce, sappia scegliersi da sola il perizoma giusto e capire quando indossarlo. Mi sembra peraltro che, persino da Tezenis, a quattro soldi, si vendano modelli di intimo a quel livello. Ma sarà che io, genericamente, me ne fotto delle mutande che indossa una ragazza e la preferisco quando se l’è tolte. L’unica cosa che mi rende felice, francamente, è semmai che la tizia si sia sciacquata tra le gambe.
Detto ciò, continuo a non intendere come una popolazione, con un così alto tasso di scolarizzazione, possa pendere dal tanga di una ragazza qualsiasi, o dai pensieri della Ferragni su quanti e quali cognomi dare a un figlio. Poi, per carità, lei può avere tutte le opinioni che desidera, ma se devo ascoltare qualcuno preferisco Marcello Veneziani, il quale, purtroppo, pur avendo un certo seguito, noto tristemente che è meno famoso dell’influencer in questione.
In ultimo, l’unica cosa che mi pare assurda è che in Italia ci si interroghi sul’utilità o meno di un sindacato per chi posta foto dei piedi con il nuovo smalto, o per quelle che lanciano l’immagine della copertina di un libro con accanto una fetta di torta. Tanto più che i sindacati hanno ampiamente dimostrato la loro inutilità sesquipedale. Io mi occuperei del lavoro vero, ma pare che quello sia oramai caduto in disuso.
Matteo Fais
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L’AUTORE
MATTEO FAIS nasce a Cagliari, nel 1981. È scrittore e agitatore culturale, fondatore, insieme a Davide Cavaliere, di “Il Detonatore”. Ha scritto per varie testate (“Il Primato Nazionale”, “Pangea”, VVox Veneto”). Ha pubblicato i romanzi L’eccezionalità della regola e altre storie bastarde e Storia Minima, entrambi per la Robin Edizioni. Ha preso parte all’antologia L’occhio di vetro: Racconti del Realismo terminale uscita per Mursia. È in libreria il suo nuovo romanzo, Le regole dell’estinzione, per Castelvecchi.
Quelli veramente preoccupanti sono gli influencer di ultimissimo grido: ovvero quelli di “stampo sanitario”.
Quanto agli altri, tipo Ferragni e company, personalmente mi dimentico anche della loro esistenza.
Condivido il suo pensiero
La Ferragni sfrutta il momento. Non è bella, non dice cose interessanti. Svende il proprio ego alla massa acritica riuscendoci molto bene. Nel mondo del marketing è la Wanna Marchi del sottovuoto spinto. Wanna però vendeva del sale, la Ferragni il nulla, ergo e’ ancora più brava.
Sta però invecchiando e fra non molto finirà miseramente nel dimenticatoio, anzi, forse qualcuno si ricorderà di lei come quella inutile donna dall’inutile marito con la faccia da pirla che piangeva per essersi nel tempo ritrovato ad essere ciò che odiava, cioè i ricchi e i famosi. Due cortocircuiti viventi, buoni solo al circo dei sottoprodotti dello spettacolo studiati a tavolino. Per pietà li si possono solo compatire e con la stessa pietà li manderei in fabbrica, perché tornerebbero a vivere la vita vera, quella che noi, persone normali, abbiamo il privilegio di vivere pienamente, essendo influencer di noi stessi.