L’EDITORIALE – AFFERMO LA VITA SULLA FOLLIA DELLA ZONA ROSSA (di Davide Cavaliere)
La libertà è più importante della salute. Non serve a niente avere i polmoni sani, se si è costretti a vivere come ratti dentro quattro mura arredate. La salute non è un valore, non è nemmeno indispensabile per condurre una buona vita. Sono esistiti uomini non sani – Epicuro, Leopardi, Beethoven, Flannery O’Connor o Stephen Hawking – che hanno avuto esistenze piene e generose.
Al contrario, le vite senza libertà sono indegne di essere vissute. Nella malattia ci può essere una tragica grandezza, una sofferenza piena di onore, mentre nella servitù si rinviene solo vergogna. Un uomo afflitto nella carne si arrende al destino e muore schiacciato da un morbo inarrestabile, ma gli schiavi scelgono ogni giorno di perpetuare la loro condizione.
I valletti della follia sanitaria sono le salme anemiche che, in un profumato principio di primavera, camminano per strada con il naso e la bocca sigillati. Ognuno muore solo, ma succubi lo si è collettivamente e non mi sorprende che le strade non siano attraversate da moti di ribellione.
Non può esserci rivolta da parte di chi è convinto che la vita inizi e finisca con la serie televisiva. Una generazione educata al rispetto ebete delle norme, che infrange solo quando sa di non rischiare. Figli e figlie a cui hanno macellato la libertà a colpi di decreto, seppelliti nel cemento della casa paterna, non si sentono morti.
La rapidità con cui le masse si sono abituate a una vita senza libertà, senza volti, senza convivialità e sottoposta a norme kafkiane è impressionante e spaventosa. Il grosso della popolazione si dimostra perfetto per il mondo immaginato da Gianroberto Casaleggio, quello dell’esistenza totalmente assorbita dalla dimensione digitale, dallo schermo, dai click.
Questa ansia di conservare la propria “nuda vita” davvero non la capisco. Come non comprendo questo incontenibile desiderio di seppellirsi in casa a gonfiarsi di Netflix, PornHub, TikTok, cospargersi di Amuchina gel e scopare in mascherina.
I giovani, quelli che dovrebbero essere il cuore e la mente della Nazione, sono un branco di morti che, per non vedere la propria decomposizione, si raccontano di aver “imparato ad apprezzare le piccole cose” e di “fidarsi della scienza”. Gli anni non saranno spezzati come quelli di Peter Weir, ma saranno persi, tempo soffiato via che nessuna mascherina ha trattenuto.
Moriranno anche loro, moriranno con la mascherina, moriranno annegati nel tempo sprecato davanti alla Playstation e al computer. Non potranno fare altro, un giorno, davanti allo specchio, che mappare la delusione nel loro sguardo.
Per quanto mi riguarda, io non mi farò seppellire vivo dai fondamentalisti della salute. Uscirò, perché il sole, l’azzurro del cielo, il vento, il profumo dei fiori, la compagnia di un amico, il latrare dei cani sono più salubri e importanti di tutte le zone rosse di questa Italia martoriata dalla stupidità.
Violare le grottesche e inutili norme anti-Covid significa affermare la vita, contro gli anemici, isterici, ipocondriaci, pallidi, dissanguati, smorti e scialbi tifosi del lockdown.
Davide Cavaliere
A costoro bisognerebbe aggiungere anche le varie forze dell’ordine, che per conto dello Stato o dei singoli sindaci (vedasi i vigili urbani), vanno in giro a far multe con il solo scopo di fare cassa usando la scusa della sicurezza.