L’EDITORIALE – INVOCAZIONE PER LA TRAGEDIA (di Matteo Fais)
Maschere, maschere, maschere. È un mondo di mascherati e impauriti, un carnevale triste, una processione di flagellanti attaccati a una miserabile esistenza. Ogni tanto, circolo tra la folla e spero che succeda qualcosa di spaventoso, un evento che scuota la borghese monotonia di un paese di morti.
Mi faccio largo tra i pochi passeggiatori solitari sprofondato in un unico pensiero: questa non è vita. Poi riemergo dal torpore. Guardo la gente intorno a me. Indossano lo straccetto sanitario con disinvoltura, chiacchierano amabilmente. Si sono abituati, mentre io muoio dentro ogni giorno di più.
È snervante, è patologico. Sembra l’esistenza di un depresso. Aspetto l’incontro settimanale con i miei amici contrari alla dittatura sanitaria perché qualcuno mi tocchi, mi stringa la mano, mi posi la sua sulla spalla. E sapete cosa? Quando mi sfiorano, come in una sorta di videogioco idiota, vedo virus irradiarsi su di me. Li sento che mi attaccano, mi possiedono, si cibano delle mie carni e mi consumano. In un attimo, ne ho consapevolezza: la loro propaganda è entrata anche in me. La paura.
La nuova normalità non mi piace, il grande reset che è in noi da tempo. Sento che l’umanità se ne sta andando. Odo le persone parlare, frammenti di discorsi. “Non bisognava aprire”. Mi sento soffocare. Controllo a stento il panico. Mi sento stupido: ho pensato male dell’umanità fin dal principio, ma sono anche peggio di come li immaginavo. Adesso, comprendo perché ho sempre provato una istintiva repulsione verso tutti, la volontà di segnare un confine di misantropica distanza tra me e questi agglomerati di cellule senza senso. Li guardo e ho negli occhi scariche di mitra, tsunami di veleno.
Li osservo uscire dai negozi, igienizzarsi accuratamente le mani, mentre respirano a pieni polmoni fumo di scarico e diossine. E quelle maschere, quelle maschere! Mi sembra un film, una distopia scritta male, per NETFLIX, in fretta e furia, e recitata peggio.
Sono svuotato. I miei nervi stanno suonando Il trillo del diavolo con la furia di un orchestra ubriaca. Sono sconnesso. Se riaprissero i manicomi, sarei il primo a entrarci, di mia spontanea volontà. Non è tra questa gente che sta la vita e la normalità. Beati i miei nonni che hanno visto la guerra e il sangue. Noi siamo criceti in gabbia, la forma più bassa che l’esistenza biologica possa assumere, la fine del coraggio e di qualunque forza.
Mi sorprendo a pensare che, forse, persino uno scenario alla The Purge (“Il giorno del giudizio”, in italiano) sarebbe più auspicabile. Uccidere, essere uccisi, il male liberato, il sangue, vedere l’uomo che torna animale e tocca l’estremo opposto della civiltà.
Sì, vorrei la vera tragedia. Non la farsa, non la maschera, non Sanremo. Ci vuole una catarsi, come nella tragedia greca. So che senza orrore non ci sarà più ordine, né sanità.
Ci vuole un disastro, proprio come in La strada di Cormac McCarthy o in Cecità di Saramago. Senza aver toccato la bassezza più infima e impensabile, non si può diventare migliori. Bisogna guardare in faccia il terrore e la vera angoscia. Soprattutto, non si può vivere e capire l’importanza di questo momento in cui il mio cuore e il vostro pulsa sangue con regolari contrazioni senza aver visto in faccia la morte che noi tendiamo in ogni modo a rimuovere, a ridurre a dati del telegiornale.
Sì, voi siete morti perché non avete dimestichezza con l’orrore.
Matteo Fais
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L’AUTORE
MATTEO FAIS nasce a Cagliari, nel 1981. È scrittore e agitatore culturale, fondatore, insieme a Davide Cavaliere, di “Il Detonatore”. Ha scritto per varie testate (“Il Primato Nazionale”, “Pangea”, VVox Veneto”). Ha pubblicato i romanzi L’eccezionalità della regola e altre storie bastarde e Storia Minima, entrambi per la Robin Edizioni. Ha preso parte all’antologia L’occhio di vetro: Racconti del Realismo terminale uscita per Mursia. Da ottobre, è nelle librerie il suo nuovo romanzo, Le regole dell’estinzione, per Castelvecchi.
Odio questa vita che non è vita.
Odio lavarmi sempre le mani. Odio le mascherine. Voglio mettere il rossetto. Voglio uscire liberamente e andare al cinema.