LA RECENSIONE – È USCITO L’ALBUM DI FAMIGLIA DEI COMPAGNI, UNA STORIA PER IMMAGINI DEL PCI (di Matteo Fais)
Se la cantano, se la suonano e se la menano. Loro possono.
Il comunismo è una religione ed è piena di adepti. Il comunismo è quel sistema di pensiero che, pur avendo apparentemente perso, è sempre in auge. Il metodo gramsciano dell’egemonia culturale è ancora valido e, secondo la logica che la storia la scrivono i vincitori, persino su Facebook, se pubblichi una foto di Hitler o di Mussolini, anche solo a scopo derisorio, come minimo ti becchi un blocco di qualche giorno. Se posti un’immagine di Stalin, non ti succede niente – ciò vorrà pur dire qualcosa. Se Feltri, in televisione, alla domanda su chi avrebbe voluto come ministro nel Governo di Draghi, avesse risposto il dittatore russo, invece che quello tedesco, tutti avrebbero riso, dandogli del burlone. Eppure, hanno ucciso, massacrato, e violentato molto più degli altri, in ogni parte del mondo. Poco importa, loro sono quelli che stanno dalla parte giusta della Storia.
Questo è, infatti, ciò che dice anche Fabrizio Rondolino nell’introduzione a IL NOSTRO PCI – 1921-1991 – Un racconto per immagini, Rizzoli: “Mi piaceva sentirmi «dalla parte giusta» della storia”. E come potrebbe non sentirsi tale uno che ha attraversato il PCI, dalla ingiustamente santificata figura di Berlinguer, definito uno del popolo – ma quando mai? –, passando per la direzione nazionale della FGCI, il servizio politico dell’«Unità», lo staff di Massimo D’Alema – oggi, non vi preoccupate per lui, sta ovviamente al “Corriere”.
Insomma, il nostro militante, che prese la tessera a sedici anni – ma c’era dentro già da prima –, scrive l’agiografia dei santi laici del Partito, ovvero dei vari dirigenti. Di ciò, potremmo dire tranquillamente che non ce ne frega una sega: cosa aspettarsi da un comunista, se non che faccia il comunista? L’introduzione al testo è più che bastevole per comprendere la stortura mentale che anima e ha animato quella parte politica, dal primo all’ultimo, fino a oggi.
Per esempio, ricorda quando prese la famosa tessera: “mi sentii pieno di orgoglio, come se avessi vinto un premio tanto agognato quanto prestigioso. Mi sentivo […] improvvisamente pieno di responsabilità e di impegni da assolvere”. La Sinistra è sempre stata abilissima nel conferire un ruolo a chiunque. Tutte le nullità sono uguali, ma quelle di partito sono più uguali delle altre. Anche il portiere di un palazzo, purché comunista in un palazzo abitato da sinistri, era indispensabile.
Comunque, a suo avviso, la “grande comunità autosufficiente” non era minimamente una “setta”. Il motivo? “Perché era grande”. Mah! A ogni modo, se non si può dire che si trattasse di un’associazione satanista, certamente, però, era qualcosa di molto peggio. È lui stesso a dirlo una riga dopo: “Il PCI negli anni Settanta aveva le sue cellule praticamente in ogni fabbrica, ufficio, scuola, università, e le sezioni in ogni quartiere; amministrava centinaia di Comuni e quasi tutti i capoluoghi; pubblicava un quotidiano che vendeva centinaia di migliaia di copie e un settimanale culturale che ne vendeva decine di migliaia; disponeva di una catena di radio locali e, poi, di televisioni; aveva una sua casa editrice, una catena di librerie, quattro centri studi, numerose riviste accademiche, un «Istituto di studi comunisti» (la famosa Scuola delle Frattocchie)”. In effetti, il demonio in persona, all’inferno, se la sogna un’organizzazione del genere.
Ma voi direte che sono io a essere un cattivone reazionario. Ok, allora, continuiamo con le parole di Rondolino: “Nel mondo che ruotava intorno al Partito – un mondo ancora più vasto, che via via si allargava in cerchi concentrici sempre più ampi – c’era l’UDI per le donne e c’erano i Pionieri per i ragazzi, c’era il sistema della cooperazione, allo stesso tempo modello economico alternativo e forziere del Partito, c’era l’ARCI per il divertimento e c’era l’UISP per lo sport e c’era l’Unipol per assicurare l’automobile o la casa, e naturalmente c’era la CGIL, il gigante con cinque milioni di iscritti che custodiva, per dir così, il cuore del movimento operaio”. No, non era una setta, ma qualcosa di… come definirla? Forse una struttura sovietica?
Ma lui, l’allora giovane volpone, era diverso. Sempre leggendo, scopriamo che “detestavo l’estremismo, le urla, la violenza di piazza, l’intolleranza. Del resto, ero un borghese” e “Anziché prendere il Palazzo d’Inverno, come avevano fatto i bolscevichi, bisognava uscire per strada e convincere la gente: questo, almeno, pensavamo”. Naturalmente, potevano farlo solo loro perché, quando fuori dalla sua scuola – un liceo classico – arrivarono i ragazzi del MSI a volantinare, lui li fece disperdere. Per un attimo se ne pentì – temeva di passare da estremista. Ci pensò il padre a rassicurarlo: “Mio padre, che è sempre stato un azionista torinese e dunque è sempre stato più a sinistra di me, e certamente più intransigente, mi spiegò con parole molto semplici che l’antifascismo è il valore fondante della nostra Repubblica, e che dunque per i fascisti non c’è nessuno spazio, neppure quello delle parole. Non bisogna picchiarli, mi disse, ma non bisogna neanche farli parlare”. A momenti mi commuovo: lo stesso atteggiamento degli anni ’70 lo conservano ancora oggi, semplicemente estendendo il concetto di fascismo a ogni partito o organizzazione riconducibile alla Destra, tappandogli la bocca – quando si suol dire “la coerenza staliniana”.
Viene anche da pensare, scorrendo le pagine, che il PCI abbia mutuato un certo atteggiamento di base dalla Chiesa, precisamente quella del periodo dell’Inquisizione. Anche in questo caso, la viva voce del giornalista di “L’Unità” giunge in nostro soccorso: “La parentela fra le tessere del movimento operaio e i santini distribuiti dalla Chiesa cattolica è esplicita fin dall’inizio, e attribuisce alla tessera un significato del tutto particolare, di vera e propria devozione laica, oltreché di veicolo di diffusione delle immagini del socialismo”.
Avevate dubbi sulla natura di un partito ispirato e finanziato dallo spietato regime dittatoriale dell’URSS? Poveri ingenui! I comunisti sono sempre stati e sempre saranno così. Non sono cambiati. Si, oggi, non perseguono più la rivoluzione proletaria, ma quella lgbttina e progressista. L’apparente cambio di rotta gli è semplicemente più congeniale e al passo coi tempi per portare a compimento il loro antico progetto di distruzione della Tradizione (famiglia, lavoro, nazione). Il metodo, comunque, resta lo stesso di sempre: la conquista delle logge matte del potere. Anche la determinazione non è mutata, la volontà di zittire gli avversari.
Sapete un cosa, però? Hanno fatto bene loro. A Destra abbiamo sempre ragionato in modo autonomo, quasi anarchico. Nel Partito Comunista, un militante era obbligato anche a diffondere e cercare nuovi lettori ai loro giornali di riferimento – c’era proprio scritto nei loro opuscoli. Tutta la vita di un comunista era ed è orientata al trionfo di un’ideologia condivisa. I compagni fanno tutto insieme: giocano a calcio, mangiano, vanno dai loro medici, chiamano i loro idraulici – trombano pure tra di loro. In due parole, sono una comunità. Noi no. Insomma, tra noi e loro, avete capito chi è a dover imparare la lezione.
Matteo Fais
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L’AUTORE
MATTEO FAIS nasce a Cagliari, nel 1981. È scrittore e agitatore culturale, fondatore, insieme a Davide Cavaliere, di “Il Detonatore”. Ha scritto per varie testate (“Il Primato Nazionale”, “Pangea”, VVox Veneto”). Ha pubblicato i romanzi L’eccezionalità della regola e altre storie bastarde e Storia Minima, entrambi per la Robin Edizioni. Ha preso parte all’antologia L’occhio di vetro: Racconti del Realismo terminale uscita per Mursia. Da ottobre, è nelle librerie il suo nuovo romanzo, Le regole dell’estinzione, per Castelvecchi.