PERCHE’ LA MELONI FA BENE E SALVINI FA MALE (di Franco Marino)
I miei articoli sulla decisione leghista di votare Draghi “mi sono valsi l’accusa” di scarso pragmatismo e considerando che mi sono (e mi hanno) sempre ritenuto un pragmatico ai limiti del più brutale cinismo, per me è stato come se il Napoli perdesse in casa: cosa che tra l’altro ultimamente accade spesso. Ahimè.
E però mi sento di “respingere l’accusa”. Considero pragmaticamente parlando profondamente sbagliata la scelta di Salvini, cosa che ovviamente non guasterà certo il sonno del “Capitano” se per assurdo mi leggesse. Così, mentre per i tifosi leghisti, Matteo Salvini è il nuovo Talleyrand e qualcuno vaneggia di poliziotti buoni e poliziotti cattivi nel sovranismo – alludendo ad un gioco delle parti tra lui e la Meloni – un sano debunking potrebbe schiarirci un attimo le idee.
A tal proposito, una premessa. Un’alleanza non è un’amicizia ma una momentanea convergenza di interessi, prima e dopo la quale, due alleati possono anche essere nemici a tutti gli effetti. USA e URSS che si allearono per liquidare i nazionalsocialismi europei, erano nemici prima e tornarono tali poi. Nondimeno, prima dei vari nazareni, governi gialloverdi e giallorossi, i partiti che li composero non si sono risparmiati decenni di insulti, querele, contumelie ed editoriali al vetriolo da parte dell’influencer di bandiera. Per poi riprendere a scannarsi a percorso concluso.
In quanto tale, un’alleanza si basa sulla ricattabilità e sulla dote degli alleati. Se l’alleato offre cose che nessun altro potrebbe offrire, è lui il padrone. Viceversa non ha il minimo peso.
In tal senso, la compagine azionaria del governo Draghi seguirà la composizione del Parlamento nel quale, benchè in discesa nei sondaggi, il Movimento 5 Stelle rimane – e di gran lunga – il primo partito con al secondo posto il PD e le sue costole rosse, a partire da quella renziana. Il governo avrà, dunque, una chiara connotazione di centrosinistra. Ciò che verrà concesso alla Lega servirà unicamente per dividere il fronte sovranista ma sarà poca roba.
Mi si fa notare che Mattarella avrebbe chiesto un governo di larghe intese. Ma larghe non significa totali e la coalizione che voterà Draghi, senza la Lega e Fratelli d’Italia, raggiungerà un largheggiante 78%. Se dunque la Lega si tirasse fuori, Mattarella se ne infischierà allegramente. Draghi verrà, con ogni probabilità, votato da un’ampia maggioranza, che renderà essenziale il Movimento 5 Stelle, il PD, Italia Viva, un po’ meno Forza Italia, ossia i tre quarti abbondanti del parlamento. E completamente inutile la Lega, che non avendo nulla da offrire ad una maggioranza di questo tipo, non può neanche ricattarla.
Un altro errore è paragonare il ruolo di Salvini nel venturo governo con quello di Renzi in quello uscente, dimenticando che quest’ultimo era decisivo per la maggioranza giallorossa così come Salvini lo è stato per quella gialloverde. Ma che Salvini non lo è per il governo Draghi. La parte forte della maggioranza potrà quindi imporre cose sgradite a quella debole. Cosa accadrà quando dalla maggioranza usciranno fuori leggi che non piacciono al popolo sovranista? La Lega uscirà dal governo? E se sì, che senso avrà avuto farne parte, sporcandosi agli occhi del sistema e snaturandosi dinnanzi all’elettorato?
Prendiamo una famiglia di nove persone, cinque sono d’accordo su ristrutturare casa e quattro no. Le ragioni di uno che fa parte dei cinque e potrebbe passare ai quattro e viceversa sarebbero molto più determinanti rispetto ad una situazione che vedesse d’accordo sette persone e in disaccordo due. Con la differenza che chi fa parte dei sette, se le cose andassero bene, dovrebbe dividere i frutti con gli altri sei. Mentre se andassero male, i due potrebbero pur sempre rinfacciare la scelta sbagliata alla maggioranza. Spartendosi fette molto più ampie del consenso venturo.
In questo senso, la decisione della Meloni più che essere una scelta geniale, è semplicemente una scelta obbligata e pur tuttavia molto promettente. Tirandosi fuori da questo governo, lancia un’OPA sull’opposizione antisistema, consacrandosi come unica oppositrice di un sistema che ogni giorno se ne inventa una per farsi stramaledire. E, stando all’opposizione, potrà dire di non aver votato le scempiaggini del governo, svuotando la Lega, cosa che peraltro sta già avvenendo da mesi.
Per la Lega invece il sostegno del governo è una strada lose/lose, a prescindere che l’esperienza di Draghi si riveli positiva o negativa.
Molti leghisti in ascesa sul carro di Draghi sono ingolositi dai 200 miliardi che dovrebbero arrivare dall’Europa. Ma quei soldi – che per inciso l’Eurozona non ha di suo, li prende dagli altri paesi – richiedono garanzie ben precise. Patrimoniali, IMU che tornano, pignorabilità della prima casa, tasse. Non sono gratis. E le garanzie, oltre a scontentare l’elettorato, riempiranno di debiti le generazioni successive. Questa pioggia di soldi, secondo i progetti, farà ripartire il paese. Facile a dirsi. Ma non lo crede nessuno che non abbia vissuto l’epopea della cassa del Mezzogiorno che, secondo un vecchio e gustoso adagio, era così definita perchè alle undici arrivavano i soldi e a mezzogiorno erano già finiti. E anche supponendo che invece stavolta andrà bene, a raccoglierne i frutti non saranno certo i pesci piccoli ma quelli fondamentali per il governo. Il Movimento 5 Stelle col suo 32% sarà determinante come lo saranno PD e renziani. La Lega, invece, non potrà dire di essere stata determinante perchè saranno i numeri a smentirla. E a livello elettorale ne ricaverà poco o nulla. Se, invece, si concluderà nel discredito generale, sulla Lega graverà il peso del suo insuccesso, consegnando i leghisti delusi alla Meloni. Film già visto con Forza Italia ai tempi di Monti.
Non è dunque una questione di scarso pragmatismo o di essere tuttosubitisti. Non è esortare la Lega a rompere il banco.
E’ che questa decisione rischia di compromettere tutto il capitale fin qui acquisito da Salvini.
FRANCO MARINO
Salvini rischia di compromettersi definitivamente, ciò è fuori dubbio Con i danni del Covid che si aggiungono a quelli derivati delle politiche europee, Salvini poteva facilmente condurre l’Italia fuori dalla eurozona mettendosi di traverso e fomentando la piazza (quella sovranista e populista cioè decisa ma non violenta); sono assolutamente convinto potesse riuscirci.
Invece Matteo ha tradito gli impegni storici verso il proprio elettorato e ora si ritrova con vaghe strategie nel sistema nemico. Che bella carriera!
Da qualche tempo Salvini sosteneva di voler “cambiare l’Europa da dentro”: neppure un incapace potrebbe sostenere tale sciocchezza. Dall’Europa si esce e fine, il resto è Italia.
Con me Salvini ha chiuso e non credo di essere il solo a pensarla così.
Grazie molte per l’ottimo articolo.