L’EDITORIALE – DELIRIO PROGRESSISTA: LA CANCEL CULTURE PROCESSA HOLLY E BENJI (di Matteo Fais)
Odio il calcio da quando ero in terza media. Mi sta proprio sul culo. Detesto la sportività degli italiani, seduti sul divano la domenica, dopo pranzo, a digerire la pasta al forno di nonna Pina e tifare per un manipolo di energumeni tatuati come zulù. Li sento gridare come ossessi per ogni goal, manco si stessoro chiavando Valentina Nappi.
Eppure, quando ero bambino, andavo in solluchero per Holly e Benji, l’anime giapponese che, portato in Italia negli anni ’80, ogni pomeriggio, ci teneva incollati alla tele col fanatismo tipico dei tifosi. L’ho rivisto pure da grande – persino da studente alla Facoltà di Filosofia – e, devo confessarlo, mi ha commosso. Ho sempre pensato che quel cartone animato fosse una storia quasi omerica, un’epopea epica e positivamente formativa per degli infanti. C’erano tutti gli elementi giusti: la forza e il valore dell’amicizia, il riscatto sociale, il rispetto dell’avversario, il fairplay, la sana competitività e l’accettazione della sconfitta, l’invito alla determinazione, al porsi uno scopo forte nella propria esistenza arrivando a comprendere così il prezzo del sacrificio, l’accettazione della sfida e la volontà di non demordere.
Insomma, se avessi un figlio, gli farei vedere tutte le serie di Holly e Benji, per insegnargli a vivere, come un cattolico manda il suo al catechismo. Per me, è stato un sorta di manuale visivo di etica applicata, un Vangelo da poppante. Infatti, mi pareva strano che la cancel culture promossa dall’ignobile marmaglia progressista non andasse a colpire l’ennesima opera da me apprezzata e sulla quale mi sono sentimentalmente formato.
Il fatto è che se lo dico sembra che stia prendendo per il culo, ma è realmente successo che una rete televisiva latino-americana, esattamente cilena, sia finita nei guai per aver mandato in onda il cartone animato in questione. Per la precisione, il caso è arrivato in tribunale. L’accusa? Violenza di genere. Ve la faccio breve. In un episodio, il trentatreesimo pare, Julian Ross, il capitano di una squadra, tira un manrovescio a Amy Aoba, la manager, per aver rivelato i suoi problemi di cuore al protagonista della serie, Oliver Hutton. Nel far ciò, secondo Julian, la ragazza ha posto un vincolo morale a Oliver, di fatto invitandolo a non sfidare sul campo il rivale mettendoci tutta l’energia possibile. In poche parole, il ragazzo non vuole essere trattato dall’avversario come un menomato, ma affrontato senza remore. A me pare che, al netto del gesto non proprio signorile, il povero malato di cuore dimostri due coglioni da fare invidia a un qualsiasi membro del Governo italiano attualmente dimissionario. Ci vogliono palle per non far leva sul pietismo – vero, cari sostenitori delle minoranze? – e lui dà così dimostrazione del senso più alto della virilità. Se perdo, sembra dire lui, voglio farlo da uomo e non da mammoletta. Chiaro, lo schiaffo avrebbe potuto risparmiarselo, ma cosa è uno sganascione di fronte a una questione d’onore, soprattutto tra ragazzini che si stanno formando.
Niente, secondo i deliri progressisti questa è violenza contro le donne. Il tragico è che la corte, in primo grado, aveva condannato l’emittente a pagare una multa di 7mila dollari. Solo in appello, la sentenza è stata ribaltata. Secondo il giudice, la ragazza si è presa la botta in faccia non in quanto femmina, ma per la slealtà dimostrata.
Naturalmente, potremmo discutere per ore sulle coglionate che ruotano intorno a questi discorsi femministi e progressisti. Ciò che mette paura, però, è che si possa finire di fronte a una corte per un cartone animato. Non per droga, sfruttamento della prostituzione, truffe internazionali o malasanità. No! Ma per aver mandato in onda un cartone animato degli anni ’80. Se non è follia questa.
Ma vedrete, vedrete! Tra un po’, costringeranno i produttori di allora, o chi ne fa le veci, a correggere la serie mettendoci in mezzo un bella storiella omo tra il cannoniere Holly e il portierone Benjie. Julian Ross, poi, per pagare il fio delle sue colpe, andrà da Amy a chiedere di farsi frustare in uno stanzone stile Cinquanta sfumature di grigio. Se così dovesse essere, giuro che denuncerò mio padre per avermi messo al mondo. Basta!
Matteo Fais
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L’AUTORE
MATTEO FAIS nasce a Cagliari, nel 1981. È scrittore e agitatore culturale, fondatore, insieme a Davide Cavaliere, di “Il Detonatore”. Ha scritto per varie testate (“Il Primato Nazionale”, “Pangea”, VVox Veneto”). Ha pubblicato i romanzi L’eccezionalità della regola e altre storie bastarde e Storia Minima, entrambi per la Robin Edizioni. Ha preso parte all’antologia L’occhio di vetro: Racconti del Realismo terminale uscita per Mursia. Da ottobre, è nelle librerie il suo nuovo romanzo, Le regole dell’estinzione, per Castelvecchi.