L’EDITORIALE – DI MENZOGNA SI MUORE: UNA DIFFERENTE LETTURA DEL DISAGIO GIOVANILE AL TEMPO DEL COVID (di Massimo Selis e Belinda Bruni)
«La verità vi renderà liberi», la menzogna chiude in una cella e nella cella si muore. La verità è per la vita, la menzogna per la morte – una morte da schiavi.
Adolescenti che si chiudono in casa, hanno attacchi di panico, gravi disturbi alimentari, che ingeriscono vetro e pillole, che si tolgono la vita. Gli “esperti” lanciano l’allarme e le notizie si rincorrono sulle varie testate. È passato un anno dall’inizio di questa folle gestione sanitaria e ci ritroviamo come una generazione adulta che ha bisogno della voce degli “esperti” per evidenziare ciò che era sotto i suoi stessi occhi. Sarebbe bastato il buon senso e un po’ di lucidità, ma non abbiamo più nemmeno quelli.
Le analisi di questa sofferenza non si sollevano però mai da un livello psicologico e sociologico che è forse l’unico che sembriamo tollerare. Vogliono mettere delle toppe alle crepe di un muro portante che alla fine servono solo a ritardare il crollo. Nessuno che decida di mettere in discussione le fondamenta di un edificio – quello della nostra società – che andrebbe ricostruito da zero.
Questo grido sordo dei giovani dice infatti molto di più.
L’anno di cosiddetta pandemia ci ha inondato di studiata ipocrisia, di manipolazione mediatica atta a generare panico, di decreti assurdi fino a essere ridicoli, costruiti appositamente per non risolvere il cuore del problema – se mai problema vi è stato –, di “equilibristi dell’intelletto” che dall’alto della loro inutile erudizione guardavano con disprezzo i vari schieramenti di popolo scontrarsi fra loro, senza mai sporcarsi le mani. Questo oceano di mediocrità e di menzogna non ci ha sommerso all’improvviso. Era una gigantesca onda montante da decenni.
Dov’era la Verità nel vostro lavoro, nei vostri infiniti percorsi di studi, collezioni di master e specializzazioni tradotte in righe sul curriculm? Nella cultura e nell’arte che non parlano più all’anima e sono ancelle dell’ideologia di turno, in una religiosità sentimentale che vorrebbe appiattire tutti i credenti sulla stessa esperienza come se l’uomo non fosse unico e irripetibile chiamato da Dio con il suo nome e il suo talento, la sua via?
Generazioni di ragazzi svezzati con l’idea che esista un solo modo per stare al mondo, una sola strada da percorrere per avere successo, un tragitto lineare e netto, e chi sbaglia ha il marchio del fallito. Un unico modo giusto da “brava persona”, competitiva ma mai greve. Anche l’ipocrisia dell’essere se stessi è una narrazione per adolescenti che si infrange sulla realtà: l’essere te stesso va bene se è secondo i canoni della gente che piace. È buono, bello e vero quello che sta sul mercato.
E ora esiste un solo modo per narrare “la storia del covid”, una sola scienza che non ammette domande, un solo atteggiamento di sottomissione a un male interpretato imperativo di bene comune, e i ragazzi sofferenti sono un fastidio, un incidente di percorso, mocciosi che si lamentano quando a loro viene solo chiesto di stare a casa per il bene dei nonni.
Mica devono andare in trincea o scappare dai bombardamenti, ripetono schiere di adulti ipocriti. I ragazzi avvertono la falsità delle due immagini a confronto. Quegli adulti sarebbero stati come bambini in panico al solo rumore degli aerei e non avrebbero rischiato un’unghia per salvare un amico.
Mentre insegnanti e genitori dissertano con serioso impegno se valga più la DAD o la DDI, se sia più auspicabile soffocare con la mascherina o morire di noia davanti ad un pc, noi invece ci chiediamo se questi ragazzi non abbiano dei validissimi motivi di sentire inutile la vita che viene loro proposta.
E non è la loro consapevolezza a dare validità al “segno”, di natura ontologica e non solo sociale, ma la nostra capacità di decifrarlo. La strada per recuperare il Bene si manifesta spesso attraverso il turbamento delle anime più sensibili.
Noi, “sciagurata” generazione di mezzo, siamo ancora in grado di donare loro motivi per vivere nella Verità?
Massimo Selis
Belinda Bruni
GLI AUTORI
Massimo Selis e Belinda Bruni, incontratisi nel 1998 fra le grigie mura della Facoltà di Psicologia a Roma, hanno comunque deciso di vivere assieme e di generare nuova vita su questa terra. Consapevoli di tanto azzardo, negli anni si sono occupati di educazione e di promozione alla lettura per i ragazzi. Lui però non ha rinunciato alla sua prima vocazione di muoversi anche nel “territorio nemico” del cinema, dove confida ancora di poter dire la sua. Pubblicazioni sono apparse su: Quaderni della Sapienza (edizioni Irfan), la rivista d’arte Dionysos (edizioni Tabula Fati), Il Centuplo, Ad Maiora Media, L’intellettuale Dissidente, Culturelite e Il Pensiero Forte.
La Dad ha dato il colpo di grazia alla scuola e ai ragazzi.
Non se ne può più.