LA RECENSIONE – GIUSEPPE CULICCHIA, “IL TEMPO DI VIVERE CON TE”: GLI ANNI DI PIOMBO, LA SCRITTURA E LA REDENZIONE (di Matteo Fais)
Houellebecq dice giustamente che la scrittura non salva. Cionondimeno, sbattiamo la testa contro il monitor e tiriamo pugni sulla tastiera quotidianamente, alla ricerca di una disperata redenzione dalla miseria del mero esistere, dal rosario dei giorni e dei dolori. Perché lo scrivere è come il credere secondo Kierkegaard, un gettarsi nel precipizio sperando di salvarsi.
Giuseppe Culicchia, con la sua ultima opera appena uscita per Mondadori, Il tempo di vivere con te, tenta appunto di mettere in salvo la memoria – sua e dell’Italia durante gli anni di piombo. Lo fa partendo dalla storia di Walter Alasia, giovane terrorista delle Brigate Rosse, di cui, come rivela lo stesso autore, è cugino di primo grado. Il testo è un’opera lungamente meditata che solo oggi ha trovato il coraggio di scrivere: “Perdonami, Walter, se ci ho messo così tanto. Trenta libri, e più di quarant’anni. È per raccontare la tua storia che ho cominciato a scrivere, il giorno dopo la tua morte. È per questo che ho continuato a farlo in tutto questo tempo. Eccolo qua, il primo libro che avrei voluto scrivere”.
Il noto autore torinese tenta una narrazione inedita di quegli anni e di un giovane che ne è stato protagonista, dal punto di vista della storia – quella ufficiale e quella non riconosciuta dai tribunali – e dal suo di bambino che cresce con una certa immagine del cugino, così diversa da quella che assumerà poi questo a livello pubblico e giornalistico. Lo stesso uomo che spara e si dà alla clandestinità per portare fino in fondo le sue convinzioni è anche quello con cui lui gioca, che lo sostiene, lo aiuta e lo diverte, che lo ama. La vicenda è resa al di là dei soliti cliché romantici della Sinistra culturalmente egemonica ed entro il contesto antropologico e politico dell’epoca. Volutamente non vi è giudizio militante, nel tentativo di far parlare i fatti da sé. E no, non si riscontra alcuna facile esaltazione del terrorismo (“A volte penso che […] saresti ancora vivo. I tuoi figli giocherebbero coi miei. Quelli di Padovani e Bazzega non sarebbero cresciuti orfani. Le loro mogli non sarebbero state vedove. Tua madre non sarebbe morta di crepacuore”).
Naturalmente, Culicchia, nel dipingerlo come “un figlio del suo tempo”, riconosce comunque che, se il metodo può essere ex post ritenuto discutibile, molte delle idee di Walter sono quantomeno condivisibili, alla luce degli eventi coevi, dalle stragi inerenti alla strategia della tensione, ai pestaggi e le repressioni, alle condizioni dei lavoratori. Al netto di ciò, ci ricorda lo scrittore, il ragazzo che fa una scelta per la lotta armata è al contempo anche altro, un giovane appunto che nessun articolo di quotidiano, indagine, o biografia potrà mai restituire. Di quello deve giustamente raccontare solo lui, barcamenandosi tra lo strazio e il ricordo, sempre sforzandosi di rendere un dolore che vada oltre il suo e che potenzialmente coinvolga i parenti e le vittime di tutti i Walter che hanno segnato la storia del Paese.
Al lettore, l’autore di Il tempo di vivere con te lascia il peso dell’interrogazione sulla contingenza storica narrata e su chi ne è stato, nel bene e nel male, interprete. Non può dunque non far riflette una vicenda che, per quanto ormai così distante, chiama al concetto stesso della responsabilità di ognuno in società. Ci si potrebbe chiedere, per esempio, se sia meglio sparare con dei videogames, come si fa oggi, o imbracciare un’arma per dare corso alle proprie convinzioni ideologiche, qualsiasi queste siano. Certo il libro ci ricorda che ogni azione ha delle conseguenze, ma che, di fronte a ciò che ci accade intorno a noi, non c’è via di fuga dalla propria responsabilità individuale rispetto a ciò che ci travalica e ci rende parte di un insieme più ampio.
E, in fondo, anche lo scrittore è chiamato ad assumere una posizione. Può scrivere il dannato Diario di Bridget Jones, come Helen Fielding, o Tutti giù per terra, come Giuseppe Culicchia. Per dirla con il Sartre di Che cos’è la letteratura?, “[Lo scrittore] Sa che le parole, come dice Brice-Parain, sono «rivoltelle cariche». Se parla, spara. Può tacere, ma poiché ha deciso di sparare bisogna che lo faccia da uomo, mirando al bersaglio, e non come un bambino, a caso, chiudendo gli occhi e per il solo piacere di udire la detonazione. […] Lo scrittore ha scelto di svelare il mondo e, in particolare, l’uomo agli altri uomini, perché questi assumano di fronte all’oggetto così messo a nudo tutta la loro responsabilità”. Non si può certo dire che anche Culicchia non abbia fatto la sua scelta.
Matteo Fais
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L’AUTORE
MATTEO FAIS nasce a Cagliari, nel 1981. È scrittore e agitatore culturale, fondatore, insieme a Davide Cavaliere, di “Il Detonatore”. Ha scritto per varie testate (“Il Primato Nazionale”, “Pangea”, VVox Veneto”). Ha pubblicato i romanzi L’eccezionalità della regola e altre storie bastarde e Storia Minima, entrambi per la Robin Edizioni. Ha preso parte all’antologia L’occhio di vetro: Racconti del Realismo terminale uscita per Mursia. Da ottobre, è nelle librerie il suo nuovo romanzo, Le regole dell’estinzione, per Castelvecchi.