IN MORTE DI GIANCARLO MOVIA, PROFESSORE DI FILOSOFIA E TRADUTORE DI ARISTOTELE (di Matteo Fais)
“[…] la stessa incorporeità dell’anima assicura alla psicologia una preminenza tra le scienze biologiche anche dal punto di vista del grado ontologico dell’oggetto” (Dal commento di Giancarlo Movia ad Aristotele, L’anima, Bompiani).
Non ho mai visto un uomo divertirsi con altrettanto irresistibile sadismo. Ricordo ancora quando entrò in aula, per le lezioni della specializzazione. Posò i testi in cattedra, dopodiché ci scrutò con il suo sogghigno beffardo. “Dunque, tutti dottori, adesso?”, fece lui. Della serie, “povera Italia”.
Invero, sono pieno di ricordi spassosissimi del Professor Giancarlo Movia, ordinario di Storia della Filosofia Antica e di Storia della Filosofia Medievale a Cagliari, formatosi a Padova nel più antico centro di studi aristotelici in Italia – tra le sue opere, tanto per fare un esempio, c’è la traduzione del De Anima di Aristotele per Bompiani. Del resto, tristemente consapevole di quanto fossimo asini noi della platea, se proprio non poteva trasmetterci tutto quel che avrebbe voluto, quantomeno, si prendeva la briga di farci saggiare ogni volta che razza di fessi fossimo.
Verso la fine della carriera, gli prese una brutta lombosciatalgia che lo costrinse a casa per mesi. Avrebbe potuto semplicemente farsi la sua malattia, ma niente – l’uomo era tenace e ligio: il lavoro prima di tutto. Mi chiamò personalmente, per organizzare i quattro sbarbatelli e fare lezione nella sua dimora, sotto lo sguardo amorevole della moglie Teresa. Trovò mia madre dall’altro capo del filo che, ingenuamente, credette di lusingarlo dicendogli che io, in casa, parlavo sempre di lui. Il vecchio buontempone le rispose con voce sbadata: “Speriamo almeno che dica tutto il male possibile, altrimenti non c’è gusto, Signora mia”.
Certo l’uomo era proprio un simpaticissimo disgraziato. Io e un collega, una volta, andammo nel suo studio, sperando di intortarlo con grandi discorsi intorno al nulla. Dopo venti minuti, ci licenziò con un “Bene, giovanotti, è stato un piacere chiacchierare con voi. Peccato non aver risolto alcun grande mistero dell’animo umano, dopo tante parole”.
Il Professore aveva sempre la battuta pronta, ma sapeva stupirti con uscite spiazzanti. In un’occasione, a lezione, disse “Qui dentro ci sono due soli credenti, io e il Dottor Matteo. Voi, invece, siete tutti comunisti”. Risate generali in aula, ma lui ci aveva visto giusto: il timore e il tremore non mi sono certo estranei, e il mio ateismo è sempre al limite del Credo.
Movia mi piaceva anche perché era l’unico manifestamente anticomunista. Il padre era stato infoibato, eppure, anche lui, in gioventù, cedette al fascino della filosofia marxista, per poi incontrare Dio e comprendere che la fede nel Partito e in nostro Signore non sono conciliabili. Lui scelse l’Altissimo e Berlusconi, ma sempre astenendosi dal fare spicciola propaganda, diversamente dagli altri.
Oggi, quando si vuole criticare la mentalità di qualcuno, si dice che è medioevale. Lui lo era nel senso più alto del termine. Le sue lezioni si svolgevano proprio come una lectio, infatti. Si leggevano i testi e si commentavano coralmente. Certe volte, su una pagina, ci faceva trascorrere dei mesi.
Andando contro il comune sentire accademico di studenti e colleghi, Movia amava anche discutere il Vangelo, in particolare quello di Giovanni, partendo dalle riflessioni che, in merito, aveva scritto suo fratello, entrato fin da giovane in seminario. I cicli di lezioni sul testo sacro – da alcuni definite alla stregua di un “catechismo”, ma in realtà decisamente filosofiche – cominciavano sempre con il ricordo di Pasolini che, in Hotel, durante un viaggio di lavoro, trovò la Bibbia e, leggendo il Vangelo secondo Matteo, cominciò a meditare uno dei suoi film più riusciti. Chissà perché, ma ho il sospetto che, se un cielo esiste, Movia adesso sia in compagnia dell’autore di Poesia in forma di rosa. Garantito che lo sta interrogando e Pasolini è lì che suda freddo.
Matteo Fais
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L’AUTORE
MATTEO FAIS nasce a Cagliari, nel 1981. È scrittore e agitatore culturale, fondatore, insieme a Davide Cavaliere, di “Il Detonatore”. Ha scritto per varie testate (“Il Primato Nazionale”, “Pangea”, VVox Veneto”). Ha pubblicato i romanzi L’eccezionalità della regola e altre storie bastarde e Storia Minima, entrambi per la Robin Edizioni. Ha preso parte all’antologia L’occhio di vetro: Racconti del Realismo terminale uscita per Mursia. Da ottobre, è nelle librerie il suo nuovo romanzo, Le regole dell’estinzione, per Castelvecchi.