LA RECENSIONE – QUEL GRAN FIGLIO DELLA M… DI DAVIDE BRULLO, IL SAVONAROLA DELLA CRITICA LETTERARIA (di Matteo Fais)
Con la mia amica poetessa Viviana Viviani, spesso e volentieri, ci divertiamo a prendere per i fondelli Davide Brullo e Veronica Tomassini, la scrittrice – se non la conoscete, leggetela. Lo facciamo perché vogliamo loro tanto bene e perché un po’ li invidiamo per i pubblici carteggi e i romanzi epistolari a quattro mani – noi non riusciamo mai a fare alta letteratura, limitandoci a essere due stronzi.
Io, imitando il Brullo nazionale, le dico “Adesso, bambola, farò su di te il balzo della tigre, il salto carpiato della passione celeste”. Lei mi risponde: “Però, prima, mostrami, ti scongiuro, il tronco turgido del tuo dolore”. Stiamo così per delle ore, a fare i cretini.
La verità, però, come accennavo, è che ammiriamo profondamente lo stile di quei due pazzi scalmanati. Per quel che riguarda Davide, comunque, data la mia indole malvagia e perversa, sono un fan sfegatato delle sue stroncature, perciò ho passato la notte a sollazzarmi rileggendole tutte, una dopo l’altra, adesso che sono state raccolte in volume da GOG Edizioni, con il titolo appunto di Stroncature – Il peggio della letteratura italiana (o quasi).
Ero lì nel letto, abbracciato al mio fedele iPad, che ridevo come un forsennato. Che figlio di puttana, pensavo. Davvero, come smonta lui pezzo per pezzo i castelli di prosopopea e immonda letteratura che mettono in piedi la maggior parte degli scrittori, nessun altro. Come dissi a un amico scrittore che mi chiese di intercedere per far pervenire la sua opera a Brullo: “Io, se ci tieni, glielo chiedo, ma inoltrargli il tuo romanzo è un azzardo, come mandare la propria moglie da Rocco Siffredi: rischi che torni indietro col culo rotto”.
In effetti, quella carogna non ne risparmia uno. Prende un testo tutto ben imbellettato (editore massimo, copertina luccicante, fascetta ammiccante, prefazione del grande nome) e ne fa emergere il ridicolo della prosa e del personaggio. L’ultimo Aldo Busi lo liquida dicendo che “si lancia a capofitto in considerazioni sul contemporaneo da demenza senile e semantica, un capogiro di goliardia beona”. Di Camilleri che “fa scempio di ogni anamnesi psichica, inizia a balbettare scempiaggini”. Che grande! Ma vogliamo parlare della Ciabatti che “è la cugina di Bridget Jones che ha alternato i muffin a Sant’Agostino e si è convinta di poter scrivere La città di Dio. L’esito è patetico”; o di Pietro Citati che “dovrebbe denunciare Wikipedia, perché da quando esiste Wikipedia Pietro Citati ha perso il lavoro, ha perso la fama di tuttologo”? E Cognetti, lo scrittore della montagna, che al Premio Strega “pare un incrocio tra Mauro Corona e il Brad Pitt di Sette anni in Tibet, è perfetto come un valletto, va al pascolo letterario”. Che figlio di troia!
Potrebbe non apparire immediatamente dal florilegio di citazioni, ma Brullo, comunque, i testi li legge realmente, dalla prima all’ultima merdosa riga. Non sto qui a riportare i passi che lo provano o facciamo notte – e poi, che cazzo, compratevelo il libro che io non sono mica un copista medievale.
Stroncature – Il peggio della letteratura italiana (o quasi) merita rispetto e, in certo senso commuove, come qualsiasi atto di disperato coraggio. Nel club dei paraculi letterari, uno che entra dentro e vi porta lo scompiglio è un eroe. “Ogni stroncatura è sempre l’ultima – quella che può stroncarti la carriera”, dice giustamente lui, fottendosene amabilmente del rischio che corre. “Naturalmente, la stroncatura rompe i codici costituiti dell’etica giornalistica. La stroncatura non ha un linguaggio sobrio – al contrario, è esasperata, grottesca, inaudita –, non è oggettiva, non è l’algido referto di un ‘fatto’. Piuttosto, è rabbia congelata in forma, artificio in forma di camera delle torture, sublime tracotanza. Lo stroncatore non gode della benevolenza di nessuno: i paladini dell’ordine giornalistico faranno di tutto per cacciarlo; egli, d’altronde, da sempre ingaggia una battaglia […] la libertà si difende da sé, senza norme, legacci, bavagli”. Parole simili le dovrebbe recitare il prete, in Chiesa, durante l’omelia.
Basta, dovete leggerlo. Una volta, nella bacheca Facebook di una famosa – ma proprio tanto tanto famosa – scrittrice e giornalista, qualcuno postò la stroncatura che del suo libro aveva fatto Davide. Il commento della tizia fu: “Brullo è un poveraccio, per questo critica gli altri”. Una sega! Brullo non è uno del novero dei soliti noti, ma quello che riceve lettere di disamore dagli avvocati degli stroncati e con esse ci si pulisce il culo, quello che vi ha lanciato il guanto della sfida rivelandovi che siete pieni unicamente di agganci importanti e aria intestinale. Non lo avrete mai.
Leggetelo, come si guarda il delinquente, in Le iene di Quentin Tarantino, che fa scempio, cantando e ballando, del poliziotto e dell’autorità. Godetevi la sua perversa maestria di macellaio che si esercita sul cadavere della letteratura. E auguratevi solo che non venga il vostro turno.
Matteo Fais
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L’AUTORE
MATTEO FAIS nasce a Cagliari, nel 1981. È scrittore e agitatore culturale, fondatore, insieme a Davide Cavaliere, di “Il Detonatore”. Ha scritto per varie testate (“Il Primato Nazionale”, “Pangea”, VVox Veneto”). Ha pubblicato i romanzi L’eccezionalità della regola e altre storie bastarde e Storia Minima, entrambi per la Robin Edizioni. Ha preso parte all’antologia L’occhio di vetro: Racconti del Realismo terminale uscita per Mursia. Da ottobre, è nelle librerie il suo nuovo romanzo, Le regole dell’estinzione, per Castelvecchi.