LA RECENSIONE – NAPOLI VISTA DA VILAIN, LO SCRITTORE FRANCESE CHE GIUSTAMENTE DETESTA SAVIANO (di Matteo Fais)
“[…] presenta la città in modo incompleto mostrandone solo un millesimo, la rende poco realistica, falsa […] Saviano guarda Napoli senza cattiva coscienza, con l’occhio malizioso e lo sguardo cinico del disamore, focalizzandosi sul male e non sulla sua storia […] senza mai valorizzare la sua cultura, senza mai mostrare il suo splendore, la sua modernità e i suoi paradossi (Philippe Vilain, Napoli Mille Colori).
Non importa cosa pensiate di Napoli, se ne amate la sua “vita popolare, colorata e chiassosa”, il suo essere “senza silenzio”, o se per voi è il regno dei “terroni”. Un grande scrittore trasforma la sua eroina in un oggetto d’amore di cui i lettori si infatuano. Così accade con la Thérèse Raquin dell’omonimo romanzo di Zola e similmente succede con la città partenopea di Philippe Vilain, uno dei migliori scrittori francesi viventi, appena uscito per Gremese Editore con Napoli Mille Colori.
Dico questo perché Napoli, per il francese, è una donna, la femmina per cui lui ha avuto un “colpo di fulmine”, come titola un paragrafo del testo, fin dalla prima visita e durante anni di assidua frequentazione che l’hanno portato a sceglierla come sua dimora ultima.
Il testo, è bene saperlo, non è un romanzo, ma una lettera d’amore e passione, un j’accuse contro tutti i riduzionisti che vorrebbero appiattire una cultura che affonda le sue radici nella Magna Grecia solo ed unicamente sulla Camorra. Vilain, prode e difensore del suo onore, si para innanzi alla sua donna per proteggerla da tutti coloro che le gridano insulti e la calunniano.
“Non sono mai andato a Napoli, ci sono ritornato”, dice l’innamorato e “Ho vissuto vent’anni a Parigi senza sentirmi parigino, ma mi sono di colpo riconosciuto napoletano”. Vi ha ritrovato la sua infanzia e vissuto alcuni degli episodi più importanti della sua “vita sentimentale”, affascinato dal “rumore strombazzante e assordante, fatto di musiche e di urla, di grida e di richiami. Questo movimento dà la sensazione che stia avvenendo sempre qualcosa, che si stia verificando un evento particolare, ma si tratta semplicemente del turbinio della vita”. Infine, come sempre capita nel vero amore, anche dopo lunghe convivenze, la simbiosi è divenuta totale: “Abito a Napoli ma devo dire che è soprattutto Napoli che mi abita”.
E, proprio in ragione di questa folle passione, che lo spinge in giro per le vie sontuose e gli stetti bugigattoli, che lo fa entrare in fumosi centri scommessa per mescolarsi al popolo, dismettendo per qualche ora i panni del letterato, Vilain ha deciso di dichiarare battaglia alla ottusa e tetra visione che della città hanno trasmesso i vari Saviano. Per l’autore di Gomorra, il francese ha parole di fuoco. Il suo il libro lo liquida come segnato da un “manicheismo riduttivo” e di lui si fa beffa definendolo “testimonial del nuovo e redditizio ‘pensiero corretto’ che trae vantaggio da una descrizione negativa e stereotipata della città”.
L’errore di Saviano sta nel non afferrare il processo per cui, come insegna la saggezza francese di “Rousseau, l’uomo nasce buono per natura, ma la società lo corrompe. Non si nasce camorristi, lo si diventa”. La situazione napoletana è frutto dell’assenza dello Stato, del suo aver abbandonato la città e la regione a sé stesse. Ma il suo collega italiano da una certa visione trae profitto e ci sguazza avidamente come il porco nella morchia.
Vilain, infine, mette anche alla berlina il perbenismo borghese che stigmatizza tutta la piccola malavita del posto. Egli fornisce, al contrario, un’immagine che scardina e rovescia la vulgata dominante: il “turista distratto, spossato da una giornata di esplorazione sotto il sole cocente, carico di bagagli, macchina fotografica, telefono, e di un orologio un po’ troppo argentato, un po’ troppo dorato […] Non lo si deruba, lo si spoglia, si provvede soltanto ad alleggerirlo, a snellire la sua visita, ad invitarlo al relax […]L’arte napoletana del furto trae la sua grazia dal suo intento virtuoso: non si ruba per rubare, ma per rendere filosofi i turisti insolenti, li si spoglia per invitarli alla leggerezza, li si denuda per aiutarli a tornare all’essenziale, a misurare il tempo diversamente che attraverso un orologio, a far loro prendere coscienza della necessità di una giustizia sociale e di una ripartizione delle ricchezze; insomma si spoglia il turista dei suoi beni, dei suoi averi, per accrescere la potenza del suo essere”. Ma non ci faccia trarre in inganno da queste parole colorite che sembrano dipingere di simpatia certi fiori del male. Vilain non scrive da giornalista d’inchiesta, bensì da poeta. Saviano fa cronaca, lui fa letteratura. La differenza è tutta qui.
Matteo Fais
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L’AUTORE
MATTEO FAIS nasce a Cagliari, nel 1981. È scrittore e agitatore culturale, fondatore, insieme a Davide Cavaliere, di “Il Detonatore”. Ha scritto per varie testate (“Il Primato Nazionale”, “Pangea”, VVox Veneto”). Ha pubblicato i romanzi L’eccezionalità della regola e altre storie bastarde e Storia Minima, entrambi per la Robin Edizioni. Ha preso parte all’antologia L’occhio di vetro: Racconti del Realismo terminale uscita per Mursia. Da ottobre, è nelle librerie il suo nuovo romanzo, Le regole dell’estinzione, per Castelvecchi.