L’EDITORIALE – UN ALTRO MONDO È POSSIBILE, MA DOVETE IMPEGNARVI PER COSTRUIRLO (di Massimo Selis e Belinda Bruni)
Potente è il nemico che in questo tempo domina le anime degli uomini. Non nasce oggi e molta della sua forza risiede nella debolezza di chi gli si oppone.
Chi ha attraversato gli ultimi venti anni maturando consapevolezza e prodigandosi per operare, costruire qualcosa di profondamente nuovo, e cercando con ogni mezzo di risvegliare le altrui coscienze – il tutto in grazia di preziosi insegnamenti ricevuti – si è ritrovato accerchiato da un’umanità tenacemente arroccata nelle sue “piccole torri”. Non c’è un solo moto, una sola presa di coscienza, un solo andare a fondo di qualsiasi problema che la contemporaneità ci mette davanti. I “buoni” si sono accontentati di una morale che rende accettabile questa società, ma è solo una mano di vernice su un muro marcio. Non può cambiare le cose, non può incidere nelle persone, perché i mali di questo mondo sono solo secondariamente di natura morale. Il loro cuore è molto più in profondità, lì dove si è cercato inutilmente di accompagnare le forze che dicevano di opporsi a questa deriva.
Il passaggio tra il ventesimo e il ventunesimo secolo è molto di più di un semplice avanzamento cronologico, è un vero salto di mentalità, una svolta: una rinnovata consapevolezza della responsabilità inderogabile di ciascun essere umano per la propria vita e la vita dell’intera comunità.
Una svolta “metapolitica”, un chiaro segno dell’innalzamento dal piano materiale a quello animico. La storia di questi venti anni ha dunque insistentemente chiamato ad un risveglio e a delle scelte che cambiassero la vita delle persone: nessuno ha risposto. Si è continuato a chiedere delle soluzioni “dall’alto”, oppure ci si è limitati a credere che certi “posizionamenti morali” potessero cambiare direzione a questo mondo. Il 2020 ha accelerato il processo di sovversione iniziato molto tempo addietro, ma provvidenzialmente ha anche suonato una tardiva sveglia a questa umanità in letargo.
Purtroppo, non si vede ancora nessuna reale risposta. Ci sono certamente alcuni che riconoscono che l’epidemia è la scusa perfetta per traghettarci verso una nuova normalità decisa a tavolino, che la gestione politico-sanitaria è volutamente fallimentare e sviante, ma restano comunque fermi all’opposizione del treno in corsa, al dire “no” ad un potere malvagio. Quello che chiedono è una risposta di tipo sintomatico come quella che il cattivo medico propone al paziente per soffocare il suo disturbo senza chiedersi quale sia l’origine profonda, il suo significato simbolico per la vita del paziente. È una visione terribilmente ristretta, oseremmo dire sconfortante, che infatti preclude a qualunque azione creativa. Anche questo è uno dei tanti effetti dell’individualismo, il vero e terribile morbo che ha messo sotto scacco gli uomini da molte generazioni. L’individualismo appiattisce l’uomo sull’orizzontalità, escludendo la dimensione cosmica e soprannaturale non solo delle azioni ma anche delle Idee.
Chi ha ancora attaccamenti da difendere in questo universo terminale – l’immagine di sé che deriva dalla propria posizione, dai propri titoli, da una “appartenenza religiosa”, difficilmente molla la presa e accetta fino in fondo di dover cambiare radicalmente la propria vita, le proprie convinzioni, le proprie abitudini.
Avere il coraggio del cambiamento, che non è certo quello del transumanesimo sostenuto dalle forze dominanti, significa abbandonare l’ottica del cercare la “soluzione ad un problema”, per ritrovare la giusta traiettoria che per oltre venti anni non si è imboccata.
Bisogna smetterla di limitarsi a dire “no al vaccino, no alle mascherine, no al lockdown”, se non si abbandona il paradigma medico che ci tiene in ostaggio fin dall’Ottocento. Bisogna andare in cerca e promuovere i medici che sposano una visione molto più ampia e complessa dell’uomo. Bisogna smetterla di arrabbiarsi contro gli assurdi decreti del Governo, se non si ha il coraggio di disattenderli e di impugnare legalmente le sanzioni. Bisogna smetterla di lamentarsi della didattica a distanza e di una scuola ridotta a “sala operatoria”, se non si ha il coraggio di unirsi fra insegnanti e famiglie e portare avanti iniziative forti e concrete, se non si ha il coraggio di un radicale ripensamento della scuola contro lo sfacelo iniziato decenni fa. Bisogna smetterla di lamentarsi contro chi detiene il monopolio della cultura e dell’arte, dal 1945 in poi, se non si ha il coraggio di fare il mea culpa e di iniziare a sostenere, promuovere e finanziare dal basso altre forme di cultura, a patto che prima ci si lasci ammaestrare su cosa sia veramente “fare cultura”.
Vent’anni sono tanti, vent’anni di torpore, silenzio e compiaciuta mediocrità. La Storia ha alzato la sua voce esigendo da ciascuno di noi quella risposta troppe volte mancata. Chi non si alzerà nemmeno oggi, temiamo che non lo farà neanche un domani, quando gli verrà tolto tutto, forse persino i figli. E, mentre lui si sentirà un martire, anche agli occhi di Dio, sarà soltanto un uomo ridicolo.
Massimo Selis
Belinda Bruni