TRIPLO EDITORIALE – GENERAZIONI ROVINATE DALLE CANZONETTE (di Matteo Fais, Davide Cavaliere e Clara Carluccio)
“La canzone è una scatola magica/ spesso riempita di cose futili/ ma se la intessi d’ironia tragica/ ti spazza via i ritornelli inutili”, cantava non molti anni addietro quel gran genio della canzone d’autore che è Francesco Guccini, celebrando un tipo di composizione alta e al limite della poesia – ovvero la sua e quella di pochi altri.
Tendenzialmente, però, la canzonetta, se male assimilata, è vettore pandemico per la diffusione di idee sciocche, false e – diciamocela tutta – anche pericolose. Il buonismo imperante, l’esaltazione della donna in quanto donna e non della persona di valore indipendentemente dal sesso, il politicamente corretto, la cretineria dell’amore universale, trovano tutte la loro radice lì, in una visione del mondo da canzonetta. Altro che stronzate in stile “un mondo d’amore” – tanto per citare uno dei pezzi peggiori di Gianni Morandi. Questi sogni da quattro soldi, questa idea di un universo pervaso dallo spirito del “volemose bene”, “abbracciamoci tutti”, “abbasso la guerra” è quanto di peggio possa esserci, soprattutto per la mente di un giovane.
Meglio sarebbe per lui leggere i classici da Il signore delle mosche di William Golding a Cecità di Saramago, passando per La strada di Cormac McCarthy, 1984 di Orwell, Noi di Zamjatin. Persino il libro inchiesta Noi, i ragazzi dello zoo di Berlino, con il racconto della vita da drogata di Christiane F. raccolto da due giornalisti, tornerebbe molto più utile per capire come vada realmente il mondo.
Il punto è che le grandi opere, diversamente dalle sciocche canzonette, aiutano a comprendere un paio di cose con cui oggi nessuno vuole più fare i conti: il Male esiste e prolifica tra noi, in noi; l’uomo è un essere mortale, bieco, spesso mosso da pulsioni egoiste e scarsamente empatiche. Tutta la grande letteratura è un gigantesco caleidoscopio dell’orrore e della miseria. Se una cretina femminista può davvero pensare che “le strade sicure le fanno le donne che ci camminano” è solo perché, appunto, di letteratura non sa un cazzo e crede veramente che l’animale umano possa essere mutato nelle sue fondamenta a suon di pubblicità progresso dei miei coglioni. Chiunque ci circoli a fianco, anche il più civile o apparentemente tale, se dovesse verificarsi una situazione avversa, come quelle descritte nelle distopie, potrebbe tirare fuori dal cilindro del suo animo sentimenti di cui non lo pensiamo neppure capace. Potrebbe tornare a essere prevaricante, violento, sottrarre pane a un bambino, senza alcuna pietà, solo per essere lui a non morire. Potrebbe approfittare della creatura più debole. Altro che quello che dice Sting – sia chiaro, un grande artista –, quando in Russians canta “we share the same biology” (“condividiamo la stessa biologia”) per sostenere che non vi sia motivo per odiarsi tra popoli. Per la verità, quella biologia che condividiamo dal Giappone alla Sardegna è quanto di meno etico e morale possa esserci. Potrà pure essere alla base dell’amore e le cure per la propria prole, ma contempla anche la lotta per il territorio, il prevalere dell’organismo più forte sul più debole. Insomma, l’ex cantante dei Police ha detto una intollerabile stronzata buonista che Balzac, Zola o Houellebecq mai si sarebbero sognati di mettere giù su carta.
Ma la canzonetta non è solo questo. Rispetto a una grande opera letteraria, richiedendo, soprattutto in altri tempi, investimenti poderosi dell’industria culturale, spesso è stata usata come strumento di condizionamento di massa. Mentre un romanzo o un testo filosofico sono solitamente destinati, anche nel migliore dei casi, a una nicchia, la musica è quasi sempre di ampia circolazione. Il Sistema ha dunque trovato in essa una corsia preferenziale per diffondere una certa visione delle cose.
Pensate agli anni ’90. Mentre in televisione spopolava Sex and the City, c’era tutto un brulicare di giovani cantanti che esaltavano con le loro liriche una certa immagine di donna indipendente, libera, che afferma prepotentemente sé stessa in faccia al mondo. Penso alla Anouk di Noboy’s wife, antesignana della gattara cinquantenne di oggi, che allora gloriosamente intonava la sua incapacità di stringere legami stabili con gli uomini – oggi constatiamo tristemente i risultati di quelle puttanate sparate a pressione in testa alle ragazzine di allora. Oppure, mi viene in mente Meredith Brooks, che quasi nessuno ricorderà, con il suo brano Bitch, in cui asseriva felicemente di essere una stronza intrattabile (“Oggi odio il mondo/ E anche se tu sei tanto caro con me/ Io non posso proprio cambiare/ Ho provato a dirtelo/ ma tu continui a guardare a me come se forse/ sotto sotto io fossi un angelo/ dolce e innocente”). Per non parlare di una delle poche sopravvissute a quel tragico periodo di manipolazione intellettuale, ovvero Alanis Morrissette, con la sua musica confessionale, che cantava, anche lei convinta di sconvolgere chissà chi, di “prendertelo in bocca al cinema”. Ripensandoci ex post, capite, adesso, perché le quarantenni di oggi sono quello che sono, ovvero delle grottesche figure di nevrotiche senza figli e senza marito, capaci solo di abbaiare contro ogni maschio visto come potenziale violentatore, mentre “noi donne siamo tutte brave perché siamo donne”.
Spiace dirlo, ma la canzonetta, generalmente, è un prodotto creato su base industriale per rincoglionire o per modellare l’immaginario collettivo nel senso del conformismo più ottuso e acritico. Quindi, scusate, ma adesso, sempre per dirla con Guccini, “chiusa la soglia, do sfogo/ alla mia turpe voglia: ascolto Bach”.
Matteo Fais
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L’AUTORE
MATTEO FAIS nasce a Cagliari, nel 1981. È scrittore e agitatore culturale, fondatore, insieme a Davide Cavaliere, di “Il Detonatore”. Ha scritto per varie testate (“Il Primato Nazionale”, “Pangea”, VVox Veneto”). Ha pubblicato i romanzi L’eccezionalità della regola e altre storie bastarde e Storia Minima, entrambi per la Robin Edizioni. Ha preso parte all’antologia L’occhio di vetro: Racconti del Realismo terminale uscita per Mursia. Da ottobre, è nelle librerie il suo nuovo romanzo, Le regole dell’estinzione, per Castelvecchi.
QUEL RINCOGLIONITO PACIFISTA DI JOHN LENNON: TUTTO PARTE DALLA SUA IMAGINE (di Davide Cavaliere)
Ah, la musica! Non c’è mai stato un tempo in cui sia stata così presente. YouTube, Spotify, radio, pubblicità, teleschermi, smartphone. Sbuca da ogni dove. È diventata persecutoria. Si vedono ragazzini con l’orecchio incollato al telefonino e magrebini con casse stereofoniche portatili, tutti intenti a diffondere i loro ritmi che martellano timpani, neuroni e membrane.
È maleducata questa condivisione coatta di ritmi e cadenze. Senza contare che, dagli anni Ottanta almeno, la qualità delle creazioni musicali ha subito un progressivo peggioramento, diventando la colonna sonora della stupidità di massa.
Le canzonette sono diventate sempre più melense, amorevoli, solari, carine e ballerine. Sono incise per essere ballate, per contribuire allo “stare insieme” e alla generalizzazione delle emozioni adolescenziali. Le musichette hanno, da decenni, un funzione educativa. Servono a rendere gli individui fichi, alla moda, conviviali. Insegnano loro a esternare le emozioni e a divenire partecipi della mondanità festosa collettiva. Da New York a Sanremo, a Tel Aviv, le canzoni sono sempre le stesse, così come i sentimenti e le felicità. Comunismo emozionale.
Stare in silenzio o ascoltare una sinfonia senza voci né strilli amorosi sono diventate attività degne di sospetto. Farsi sbranare da melodie infantili è l’unico ascolto accettato, perché le canzonette sono “amore” e “vita”. Non prestar loro orecchio è indice di malvagità o di gravi disturbi mentali.
Non conosce il male o il funereo la musica di questo presente ebete, semmai si attarda in tristezze passeggere o in amori finiti, ma il trionfo dell’armonia è assicurato. Talvolta vorrebbe essere trasgressiva, ma sempre in accordo con la morale dominante e allora diffonde un ribellismo posticcio su melodie da carillon.
L’archetipo della musica conformista è Imagine di quel buffone orientaleggiante di John Lennon. Ogni nuova canzone da operetta del cuore è una variazione sul tema irenico di quella irritante utopia in musica. Nausea. Diabete. La musica Pop con velleità pacifiste andrebbe abolita e il ricordo di John Lennon cacciato dalla nostra memoria come i poeti dalla Repubblica platonica. Frustate devono essere date a questi menestrelli della pace universale.
Si prenda, ad esempio, la canzone vincitrice del festival di Sanremo due anni fa, Non mi avete fatto niente di Meta e Moro. Avrebbe potuto fungere da sigla per un orrendo e cretino manga buonista. Si parla di bombe che non sono mai pacifiste (sic) e di inutili guerre, di preti e imam, del Cairo e delle Rambla, di attentati e di ecologismo e del terrorismo che è brutto.
Fantasie tanto ingenue da risultare ridicole? Certo, ma qualcuno le prende per vere e si convince della naturale bontà del mondo. L’utopismo ballerino, talvolta, si fa programma politico e allora arrivano in disastri in sella alle buone intenzioni. Le canzonette del presente, melodiche o rap, sono l’orpello di una visione del mondo demenziale e fanciullesca.
Cari cantanti, le cose non vanno sempre nel verso giusto, che che se ne dica. L’arco della morale non inclina verso la giustizia, né verso l’armonia. Gli artisti dovrebbero smetterla di vestire i panni dei chierichetti della Bontà umana e inquinare l’etere con motivetti rosa. Sarebbe opportuno cantare il mondo e svelarlo, prima che compia l’ennesima carneficina.
Davide Cavaliere
SIGNORA MIA, CON QUESTA MUSICA DI MERDA CONDIZIONANO I SUOI FIGLI (di Clara Carluccio)
Prendiamone una a caso. Do what you want, di Lady Gaga, si spaccia per una canzone di estrema emancipazione femminile, palesando, piuttosto, un controsenso da perfetto bipensiero orweliano. La più accanita propaganda femminista viene istantaneamente polverizzata da questo stupefacente insight: la mia mente è forte e intoccabile, quindi io lascio a te, uomo, la facoltà di disporre della mia carne come meglio credi (“Non puoi avere il mio cuore, non puoi fermare la mia voce, ma fai quello che vuoi con il mio corpo”). Può ragionare in questi termini una donna adulta ma, considerando che questa cantante fa leva principalmente su un target adolescenziale, non mi stupisce sapere che ci siano minorenni, dopo la discoteca, ubriache e vestite da battone, che a notte fonda vengono accerchiate da estranei. Bella mazzata per la campagna anti stupro!
Ci sarebbe quasi da rimpiangere la vocetta gracchiante di Cindy Lauper, che nel 1983, con candore spensierato cantava Girls just wanna have fun. Non c’è stata festa, a cui ho partecipato, che non abbia avuto questa canzone sparata a palla. Dai, papà, non rompere se suona il telefono mentre dormi, e non fare domande idiote tipo “cosa pensi di fare della tua vita?” perché le ragazze, se non si è ancora capito, vogliono solo divertirsi. L’anno dopo, è arrivata Madonna con la celeberrima Material girl. Una trovata per dichiarare al mondo in modo simpatico di essere una donna capricciosa e attaccata ai soldi (“Quando i ragazzi non accendono il mio interesse, devo lasciarli andare, perché viviamo in un mondo materiale, e io sono una ragazza materiale”).
Sembrano sempre degli innocui tormentoni di passaggio, confesso piacevoli, da ascoltare e ballare. Se non fosse che sono anch’essi tentacoli del programma sibillino di deformazione della società.
Gutta cavat lapidem, la goccia perfora la pietra. Film, moda, musica, fatti di cronaca, tutto viene incessantemente riproposto, finché non è interiorizzato. Non è certo un’ossessione cospirazionista, che la nostra mente vada stuzzicata nella sfera emotiva, più che razionale, per poter accogliere concetti nuovi. È il primo precetto dell’industria pubblicitaria.
Ma ancor più pericolosa è la sopravvalutazione di personaggi abominevoli quali Achille Lauro, Sferaebbasta, e il figlio di Satana, il pluri ricoverato in clinica psichiatrica, Paolo Caputo, detto Young Signorino. Quest’ultimo, talentuoso interprete di uno dei più grandi capolavori discografici, dall’intrigante titolo Mmh ha ha ha. I suddetti ragazzini vengono presentati come giovani d’avanguardia, coloro che guideranno questa squallida società verso il necessario cambiamento, verso la nuova era.
16 Marzo, di Achille Lauro, poteva passare come la sua canzone più innocua. Dopo tutto, parla di un ragazzo che piange perché piantato dalla morosa (“Te ne vai come ci fosse un altro, come se ti stesse già aspettando”). Peccato poi che nel vedere il video si notino tutta una serie di fotogrammi di spogliarelli, slinguazzate, punte di coltelli a contatto di pelle, o che aprono indumenti intimi. Pistole accarezzate e puntate alla tempia, pasticche passate di mano in mano, inoltre, punta di diamante, una ragazza in perizoma inquadrata di spalle, dentro a quella che sembra proprio essere la stanza di un albergo di lusso. Benvenuti nel nuovo mondo!
Clara Carluccio