IL RITRATTO – NAIPAUL, UNO SCRITTORE INCREDIBILMENTE SCORRETTO TUTTO DA SCOPRIRE (di Davide Cavaliere)
Nel 2001, lo scrittore che viene insignito del premio Nobel per la letteratura, nato nei Caraibi da genitori dello Uttar Pradesh, chiede di essere presentato come “scrittore inglese nato a Trinidad“.
L’autore in questione è Vidiadhar Surajprasad Naipaul, più semplicemente noto come V.S. Naipaul. Come avrete intuito, non amava il politicamente corretto, il piagnisteo intorno al colonialismo ed era fierissimo di aver studiato a Oxford e di possedere il passaporto britannico. Tanto da attirarsi accuse di “snobismo” ed “elitarismo”.
Il filosofo francese Pascal Bruckner, nel suo noto testo intitolato Il singhiozzo dell’uomo bianco, definisce Naipaul come “l’anti-Sartre”, poiché lo scrittore inglese incarnerebbe “il consenso disincantato alla scuola dei fatti, la volontà di prendersi per il bavero con esseri umani in carne e ossa e non con idee pure, in altri termini la simpatia attiva e critica verso le nazioni tropicali”.
Proprio al cosiddetto “terzo mondo”, alla nativa Trinidad, all’India dei padri, all’Africa, al Pakistan, Naipaul ha dedicato i suoi romanzi, i suoi racconti e i suoi resoconti di viaggio. Estraneo a qualunque ideologia, a ogni sentimentalismo e vittimismo, ha messo sotto gli occhi dei lettori parole di realtà, di sincera devozione alla verità del mondo e alle cose come stanno.
Proprio in virtù di questa sua adesione ai fatti, non sopportava E.M. Forster e si diceva “nauseato” dal celebre Passaggio in India, perché di quella terra “Forster non ha visto né capito niente. L’unica volta che vi è andato, nel 1921, ha frequentato esclusivamente gli inglesi, gli indiani di ceto medio, i giovani giardinieri che tanto gli piacevano. Al popolo non ha osato avvicinarsi”.
Naipaul amava penetrare nella carne del mondo, impregnarsi di odori, immergersi nel chiasso del sud del pianeta e lo faceva senza alcuna fascinazione, senza idee preconcette, senza amorevolezza acritica verso i “dannati della terra” o mistiche della autenticità. Non aveva remore nel definire le società post-coloniali come “società incompiute del mondo […] luoghi che si facevano e disfacevano continuamente, dove non c’era scopo”. La sua India era “un’area di tenebra”, come recita il titolo del suo libro dedicato al subcontinente del Taj Mahal e dei villaggi miseri e senza nome.
Durante un concorso letterario a Kampala, in Uganda, si rifiutò di assegnare il primo premio, perché nessuno era all’altezza, e poi “non è proprio il caso che gli africani si montino la testa”. Dal suo peregrinare nel continente nero trasse il suo libro più contestato, La maschera dell’Africa. Appena uscito suscitò le ire delle erinni della correttezza politica e dei custodi del mito del bon sauvage. Robert Harris, sulle pagine del “Sunday Times”, scriverà in merito: “Naipaul descrive un continente primitivo e ossessionato dalla messa in pentola degli animali da compagnia”.
Il suo resoconto di viaggio più avvincente e spaventoso è quello che compie attraverso l’islam contemporaneo, intitolato Fedeli a oltranza, nel quale definisce l’ayatollah Khomeini “il prete che impicca, il giudice boia”. Correva l’anno 1981, solo pochi anni prima, il maître à penser della sinistra, Michel Foucault, insieme a molti altri, tessette l’elogio della rivoluzione e della cacciata dello Scià di Persia.
Naipaul ebbe sempre parole di fuoco contro l’islam, che considerava un fattore di sottosviluppo. Riferendosi ai musulmani disse: “Quella è gente che non legge molto, è contro la civiltà. Vogliono portare ovunque il silenzio del deserto. In Afghanistan hanno distrutto i vecchi monumenti, hanno fatto tabula rasa della loro storia. Non c’è mai stato imperialismo come quello dell’islam. Cerca, come atto di fede, di cancellare il passato e alla fine i credenti non hanno nulla a cui tornare. Soltanto le sabbie dell’Arabia sono sacre. Nei paesi dove fanno regnare la loro fede sono riusciti a far regnare quel silenzio“. Cos’altro aggiungere?
Le suo opere più feconde sono i romanzi Sull’ansa del fiume, Una casa per Mr. Biswas e L’enigma dell’arrivo. Il primo è la storia, narrata in prima persona, di Salim, un musulmano etnicamente indiano; un negoziante di una piccola ma in crescita città nel remoto interno dell’Africa. Salim è spettatore dei rapidi cambiamenti del Paese, che osserva con la distanza di un estraneo. Il romanzo si apre con uno degli incipit più belli di sempre: “Il mondo è quello che è; non c’è posto per le nullità, per chi permette a se stesso di diventare una nullità”. Il lavoro letterario è stato accusato di essere un’apologia del colonialismo.
L’enigma dell’arrivo venne definito “crudele e insolito” da Christopher Hitchens. Un romanzo chiaramente autobiografico di straordinario realismo e di inusitata capacità di descrivere ambienti e interazioni.
È morto due anni fa, Naipaul, appena in tempo per non essere travolto da Black Lives Matter e da Metoo. Lui che, a proposito dei neri americani, aveva dichiarato: “non c’è niente di più autodistruttivo del razzismo dei neri” e che non si offendeva quando Evelyn Waugh lo chiamava “quel negretto intelligente”, avrebbe avuto parole di fuoco per il vittimismo violento degli afroamericani.
Con le donne aveva un rapporto difficile. È accertato che picchiasse la prima moglie, Patricia Hale, che tradì ripetutamente con una madre anglo-argentina, Margaret Murray Gooding. Era solito frequentare prostitute, per le quali ebbe candide parole: “Le prostitute offrono conforto e sono grato per i loro servizi”. Come molti uomini geniali era scontroso, misantropo, solitario: “La mia vita è breve. Non riesco ad ascoltare banalità. Questa cosa del colonialismo, questa cosa dell’oppressione di genere, la stessa parola ‘oppressione’, mi affatica”.
La sua opera è stata tutta ristampata dalla casa editrice Adelphi, meno un libro, Guerrillas. Collocato in un’isola delle Antille, ha come protagonisti una radical chic innamorata dell’inesistente innocenza del terzo mondo, Jane, che finisce violentata e assassinata, mentre Roche, il suo fidanzato altrettanto progressista, fugge davanti all’orrore.
In un mondo europeo di bianchi stanchi e annoiati, esotici e fiacchi, chi avrà più la grazia e il furore di V.S. Naipaul?
Davide Cavaliere
L’AUTORE
DAVIDE CAVALIERE è nato a Cuneo, nel 1995. Si è laureato all’Università di Torino. Scrive per le testate online “Caratteri Liberi” e “Corriere Israelitico”. Alcuni suoi interventi sono apparsi anche su “L’Informale” e “Italia-Israele Today”. È fondatore, con Matteo Fais, del giornale online “Il Detonatore”.