L’EDITORIALE – UNA DOMANDA ALLE FEMMINISTE: QUANDO DIFENDERETE IL DIRITTO AD AVERE UN FIGLIO? L’ARGENTINA E LA LEGALIZZAZIONE DELL’ABORTO (di Matteo Fais)
È un mondo tristissimo quello che stiamo vivendo, un mondo che scommette sulla sua fine. Infatti, i diritti che chiediamo sono sempre diritti a perdere. Vogliamo la possibilità di scegliere quando morire e abortire. In giro non vedo nessuno, però, che lotti per il diritto a vivere e poter avere dei figli.
La verità è che, oggi come oggi, una diseredata e un diseredato qualsiasi quasi mai possono permettersi di avere un bambino – possono unicamente agire da pazzi scellerati e gettarlo nel mondo. Senza soldi non si canta messa, dice un famoso adagio popolare, e meno che mai, estendendo il concetto, si tiene in piedi una famiglia. Un uomo e una donna sono di fatto mantenuti a vita in questa condizione di sospensione, senza poter concretizzare niente, costretti dunque al precariato amoroso. Per loro non vi sono garanzie e sicurezze. Senza un buon lavoro – per entrambi perché, diversamente dal passato, una famiglia monoreddito è povera – non si può pagare un affitto, o accendere un mutuo. Ma anche avendo sto benedetto lavoro, in un mondo in cui niente è garantito a vita, chi pagherà qualora i due dovessero perdere l’occupazione precedentemente guadagnata? Nessuno. Potrebbero solo vedersi sottrarre il bambino.
Dichiamocelo chiaro e tondo: è folle quel sistema che finanzia gratuitamente la possibilità di abortire e, paradossalmente, non sostiene economicamente chi voglia mettere al mondo una creatura. Non c’è mutuo sociale, reddito di natalità, niente. Puoi crepare che a nessuno frega un cazzo.
E non mi si venga a dire che le nostre nonne facevano figli in condizioni ben peggiori. Quei bambini, a quattro anni, andavano a lavorare in campagna. Oggi, anche solo per fare il cameriere, bisogna conoscere almeno due lingue e ci vuole la scuola pure per fare il parrucchiere nel più disastrato rione napoletano. No, palesemente, il paragone col passato e un universo immensamente più semplice non sta in piedi.
Se, tendenzialmente, non sarei contrario in tutto e per tutto all’aborto – anzi –, lo sono decisamente rispetto al modo in cui viene presentato. Per come stanno le cose, è una colossale presa per il culo. E non è vero che tale diritto è comunque una conquista. L’aborto è, tra virgolette, positivo solo se preceduto dal diritto di poter avere figli. Altrimenti, è un diritto vuoto: come poter scegliere di non mangiare, quando non si ha niente da mettere in tavola. In termini generali, ogni diritto al no ha valore solo se accompagnato da quello di dire sì.
Tante donne – scioccamente –, non potendosi permettere di avere una prole, si compiacciono di poterla raschiare via nella malaugurata ipotesi questa dovesse sopraggiungere. Sai che grande soddisfazione! Tanto varrebbe farla finita con la propria vita e amen. Noi, effettivamente, stiamo vivendo per non vivere, andiamo avanti al minimo.
La vita, nel mondo occidentale, è oramai tenuta in bassissima considerazione. Non puoi lamentarti se la sanità pubblica fa pietà e non c’è assistenza per un povero che si ammali, ma puoi gioire del fatto che questo possa essere condotto a morte per evitargli il dolore.
Sì, l’Occidente è ormai un gigantesco cimitero di morti viventi, gente stanca e affaticata, priva di slancio e speranza. Garantiamo solo la morte e osteggiamo la vita. E, se proprio una vita deve essere, che sia da mascherati, onde evitare di gravare sul sistema sanitario – quante volte abbiamo sentito “le terapie intensive sono al collasso”, eppure da nessuna parte sono collassate.
Ecco, l’esistenza che ci permettono, per usare un verbo caro a Di Maio, è quella del minerale, senza sogni e senza prospettive. Il tutto, mentre le nostre donne gioiscono di poter sputare fuori il frutto del nostro amore – invero sempre meno alto e travolgente – e noi ci rincuoriamo di essere eterni figli mai cresciuti, per non dover pensare che un giorno moriremo anche noi.
Matteo Fais
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L’AUTORE
MATTEO FAIS nasce a Cagliari, nel 1981. È scrittore e agitatore culturale, fondatore, insieme a Davide Cavaliere, di “Il Detonatore”. Ha scritto per varie testate (“Il Primato Nazionale”, “Pangea”, VVox Veneto”). Ha pubblicato i romanzi L’eccezionalità della regola e altre storie bastarde e Storia Minima, entrambi per la Robin Edizioni. Ha preso parte all’antologia L’occhio di vetro: Racconti del Realismo terminale uscita per Mursia. Da ottobre, è nelle librerie il suo nuovo romanzo, Le regole dell’estinzione, per Castelvecchi.