UNA SOCIETA’ CHE NON SA DIMAGRIRE (di Franco Marino)
Qualche giorno fa, nei dintorni della mia città, è morta una giovane donna che si era operata allo stomaco per dimagrire. Con una certa sorpresa, scopro dalle cronache che era ben lontana da quel peso che farebbe scandalizzare il mitologico Dottor Nowzaradan: “soltanto” 130 chili. Un peso sicuramente non salutare ma affrontabile con una buona dieta. Il punto è intendersi sul significato della parola dieta. E, come al solito, ci corre in soccorso l’etimologia, dicendoci che dieta deriva da δίαιτα che dal greco si traduce in “stile di vita”. Va da sè che i greci, forse non immaginando che qualche millennio dopo questa parola sarebbe stata usata per indicare una drastica riduzione di calorie al fine di raggiungere un traguardo, non ne hanno creata una specifica per chi volesse perdere peso ma si sono limitati a ricondurlo ad un più ampio stile di vita. Che quindi non contempli soltanto l’idea di rinunciare alla pasta e alla pizza sostituendolo con un regime punitivo a base di verdure lesse ma in generale la semplice adozione di un diverso modo di vivere.
Nell’ultimo mese sono dimagrito dieci chili. Prima che qualcuno si preoccupi, non sono (facendo i debiti scongiuri) malato. Semplicemente è accaduto che nel corso degli ultimi anni, complici alcuni grossi problemi personali, ho messo un bel po’ di peso. Questo naturalmente non ha fatto bene al mio cuore, ancora funzionante al 100% ma certo un po’ affaticato e talvolta bizzoso. Ma mi ha anche precluso la possibilità di fare qualche sport che alla mia età – e con un fisico di base tutto sommato niente affatto disprezzabile, temprato da anni di sport tostissimi – una volta dimagrito potrei benissimo ancora praticare. Certo, non penso di farmi assumere dal Napoli o di gareggiare per le prossime olimpiadi. Trentanove anni sono troppi e io non sono nè Federer nè Ibrahimovic, miei coetanei e tuttavia ancora protagonisti. Però è un vero peccato che molti miei coetanei a quarant’anni giochino ancora calcio, a tennis, a squash, vadano sul surf, nuotino mentre io, esaltandomi dopo dieci minuti con uno scatto da ventenne, mi deprimo constatando una resistenza da ottantenne.
Ma non è solo questo. Ho una figlia da crescere e a cui vorrei dare qualcosa di diverso dalla sorte che mi è toccata di due genitori malati e morti relativamente presto, purtroppo anche per colpa di uno stile di vita non salutare.
Questo mi ha convinto della necessità di “mettermi a dieta”.
So che scandalizzerò qualcuno, specie gli operatori del settore, ma non mi sono rivolto a nessun nutrizionista, a nessun chirurgo bariatrico (anche perchè la mia situazione non è drammatica) e in generale a nessuno psicologo. Un Burioni dell’alimentazione mi direbbe che la dietologia non è democratica e mi riempirebbe di insulti. Ma la realtà è che pochissimi tra questi professionisti spiegano ai loro pazienti l’etimologia di dieta. Così preferiscono arricchire alle loro spalle facendo credere loro che il dimagrimento sia solo questione di non mangiare dolci o pizzette, indossando una specie di cilicio gastrico e recitando compunti l’atto di dolore di stomaco.
In realtà, la dieta nel senso etimologico, si riduce ad una banalissima cura di se stessi. Alla scoperta di quanto sia piacevole sostituire ad una tavola calda inutilmente abbondante – che forse più di nutrire lo stomaco, lenisce vecchi traumi – la serenità di essere più leggeri e scattanti, di camminare più velocemente e magari tornare un po’ giovani, facendo qualche partitella con gli amici. Magari mangiando le stesse cose di prima ma un po’ meno. E un po’ meno di frequente. Senza ossessionare la bilancia alla ricerca del grammo perduto. Senza mirare al superamento della prova costume dell’estate. Senza puntare a trasformarsi in michelangioleschi capolavori di bellezza metrosessuale, aspettando che le agenzie di moda si presentino copiose all’uscio per soddisfare il narcisismo di un risvegliato interesse da parte dell’altro sesso. Ma semplicemente rivoluzionando la propria vita nell’ottica di un cambiamento che sarà per sempre anche per affrontare una terza età dove si scontano puntualmente tutti gli stravizi giovanili. In sintesi, dimagrire non solo per il tempo necessario a raggiungere un traguardo, gloriarsi per esserci riusciti e poi abbandonare tutto, riprendendo in brevissimo tempo i chili persi. Ma per stare bene.
A chi invece decide di dimagrire scegliendo scorciatoie, per quel po’ che gliene fregherà, va tutto il mio scetticismo. Per i motivi di cui sopra. Scegliendo di dimagrire con un artifizio chirurgico non si affronta la via del ritorno ad uno stadio di sanità psicologica. Un chirurgo, impedendo al suo paziente di ingrassare, facendogli passare con bendaggi la fame o deviando con bypass il percorso digestivo, apporta mutazioni non certo prive di conseguenze, anche letali, come si è visto. E questo per ciò che concerne il discorso fisico. Non di rado, chi poi dimagrisce velocemente e non per stare bene ma solo per risolvere conflitti interiori, non affronta il sofferto percorso delle privazioni sessuali e sentimentali che una società esteticoide riserva ad un obeso. Vedendo la propria attrattiva aumentare, rapidamente butta via i compagni di vita e le compagnie amicali che casomai lo avevano accettato nella sua obesità, diventa sessualmente promiscuo per poi, toltosi lo sfizio, stancarsi e ritornare alle vecchie abitudini. Riprendendo tutti i chili persi.
Tutto questo si applica anche alla vita economica del paese. E non è strano che in un paese cattolicoide, che ha sempre condannato il piacere e ha sempre visto nella redenzione un percorso di sofferenza fine a se stesso, ci si adoperi affinchè chi vuole dimagrire debba a tutti i costi soffrire e che una società vissuta al di sopra delle proprie possibilità, si trasformi in un inferno di insicurezza e macelleria sociale, pretendendo che non abbia neanche di che vivere, tagliando servizi sociali, sanità, scuola.
Basterebbe, invece, spiegare ai cittadini che indipendentemente da quanto debito si debba togliere, occorre semplicemente cambiare stile di vita e vivere di ciò che si produce, insegnando la pura realtà solare che ogni pasto regalato a chi non l’ha meritato è un pasto tolto a chi l’ha guadagnato.
Tutto il resto sono debiti. Un po’ di debito è razionale come lo è un po’ di grasso corporeo che anzi serviva all’uomo primitivo per affrontare i periodi di fame quando non trovava prede da cacciare. Quando il debito e il grasso eccedono, sono nocivi per il corpo umano e per il corpo di uno stato. Ma una società che pensa di risolvere i suoi problemi di obesità, affamandosi e gettando le premesse per il disordine sociale non è diversa da quella povera donna che per perdere peso in maniera insana, alla fine ha perso la vita.
FRANCO MARINO