Il Detonatore

Facciamo esplodere la banalità

LA TRISTE AGONIA DI FORZA ITALIA (di Franco Marino)

Quando si parla di un uomo come Berlusconi che vincendo molte battaglie, ha dominato il proscenio della politica italiana per vent’anni e che ancora oggi è il padrone assoluto e indisturbato di un partito che comunque ha il suo 14% in Parlamento, a maggior ragione ha valore quel vecchio adagio secondo cui “non si vende la pelle dell’orso prima di averlo ucciso”.
Il Cavaliere ci ha abituato a rimonte improvvise, a colpi di teatro inaspettati, a riemersioni da abissi nei quali sembrava irreversibilmente sprofondato, al punto che il vero erede di Rieccolo, nomignolo coniato da Montanelli per Amintore Fanfani, sempre pronto a risorgere da presunta morte politica, potrebbe definirsi proprio Berlusconi.
Realisticamente, il tempo scorre per tutti e alla veneranda età di ottantaquattro anni, anche ad augurargliene altri cento, è difficile ipotizzare un futuro e si può essere contenti che sia arrivato a questo traguardo in condizioni psicofisiche più che buone, cosa niente affatto scontata.
Al riguardo c’è un saporito aneddoto. Adenauer ebbe una carriera politica così lunga, che i tedeschi lo chiamavano antonomasticamente “der Alte”, il Vecchio. Una volta che – attorno ai novant’anni – gli chiesero se intendesse presentarsi non so più per quale carica, rispose di no. Aggiungendo, ironico: “Eh, non ho più ottant’anni!”.
Ma non tutti hanno la fibra di Adenauer.

Da molto tempo non seguo più le vicende di Forza Italia.
Questo partito è stato la casa (anche se io preferirei definirlo “il negozio”) per vent’anni di noi liberali sovranisti ma da molto tempo ha smarrito le sue peculiarità, divenendo, nei contenuti e nello stile, perfettamente speculare al Partito Democratico. Chiunque oggi ascoltasse un talk-show, senza conoscere i partiti di provenienza dei duellanti, faticherebbe a distinguerli. Se poi si leggono le pagine personali di elettori, leader e leaderini di Forza Italia, si nota come i fedelissimi berlusconiani abbiano assunto i medesimi tic della sinistra, compreso il disprezzo per le ragioni della controparte, configurando così un centrodestra al foie gras perfettamente speculare al centrosinistra radical chic, il cui filo conduttore è l’odio genuino verso quel popolo nel quale un tempo i berlusconiani sembravano a proprio agio come nessuno, se non altro per contrapporsi all’elitismo “de sinistra”.
Sui contenuti, è avvilente confrontare i tweet di Brunetta di oggi con quelli di ieri che farebbero impallidire persino Borghi o Bagnai; ascoltare la Carfagna e non vedere differenze con una Serracchiani; osservare la deriva di Berlusconi da Trump ante litteram a nonnino buono che con una mano predica moderazione e correttezza politica come uno del PD e con l’altra spregiativamente valuta le persone dai titoli di studio accumulati e dalle esperienze lavorative, lui che deve praticamente tutto ad un gigante della politica italiana come Craxi, mai laureato.
In sintesi, l’involuzione di Forza Italia è avvilente per chiunque, nel corso di vent’anni, abbia rischiato conseguenze legali, rotture di amicizie, esclusioni da circoli e circoletti di mera convivialità nel difendere le ragioni biografiche e politiche di un uomo politico così radicalmente divisivo come Berlusconi, essendone stato – e mi annovero tra questi senza rinnegare nulla – sostenitore.

Sul perchè di questa metamorfosi, si sprecano le ipotesi. Chi subodora l’ombra della demenza senile, ignorando che anche a non essere più freschi a ottantaquattro anni, il decadimento cognitivo è tutt’altra cosa. Ben più fondata è la convinzione che Berlusconi in realtà non sia cambiato affatto ma sia costretto, dal timore di ritorsioni sui suoi interessi e sulla sorte dei suoi figli, a dover da una parte fingere di essersi venduto al sistema e dall’altra scaricare il suo elettorato e i suoi luogotenenti alla Lega. Wishful thinking di berlusconiani irredenti o reale strategia? Chissà. Ma se fosse, conoscendo l’uomo non ci sarebbe da sorprendersi.
Dove sia la verità non è dato saperlo.
Più utile può essere capire le ragioni dell’emorragia ormai evidente di consensi in Forza Italia che stanno dirigendosi tutti verso la Lega.
Essa nasce essenzialmente dalla profonda diversità tra quell’elettorato ricco e benestante che, identificando in un generico postcomunismo il vero pericolo dei propri interessi, nel 1994 tributò consensi quasi plebiscitari a Berlusconi e l’elettorato di oggi che, ben venticinque anni dopo, si impernia su una classe media sostanzialmente impoverita, che ha realizzato come l’american dream dell’uomo che “se si impegna ce la fa” – al quale non credono più neanche gli americani – sia uno slogan obsoleto e ridicolo al pari di quelli comunisti.
A questo si aggiunga che il grande dibattito internazionale si è trasformato da scontro ideologico tra filoamericani e postcomunisti a guerra civile tra una fazione politica che sostiene moralmente, politicamente e mediaticamente l’abbattimento delle sovranità e dei patrimoni identitari e la fazione dei sovranisti che, reattivamente, sostiene l’esatto opposto.
Forza Italia, dopo un iniziale controterzismo, oggi appare schierata con le posizioni globaliste, dando la mazzata finale ad un partito che già era uscito indebolito dal carisma declinante del capo.

In tal senso, il disimpegno di grosse personalità del partito non deve sorprendere. I partiti, in una democrazia, non sono niente di diverso da un negozio che vende un prodotto.
Il prodotto di Forza Italia per vent’anni è consistito nella prospettiva di un sovranismo liberale, di un libero mercato italiano, conservatorismo etico, totale avversione al giudiziarismo giustizialistico, temi nei quali gli elettori di Berlusconi si identificavano, oggi totalmente abbandonati, salvo quando coincidono con gli interessi del Cavaliere. Era inevitabile che gli elettori e alcuni dirigenti decidessero di cambiare aria. E il motivo è chiaro: oggi Forza Italia non risponde più alle domande dei propri potenziali elettori.
La prima è attualissima. Nella grande battaglia ideologica del terzo millennio, Forza Italia sta con i sovranisti o con i mondialisti? Ma non solo. Anche altre questioni irrisolte come, chessò, riuscirete ad abbassare le tasse? A dare all’Italia un ruolo da protagonisti in Europa? A fermare l’immigrazione? A dare più sovranità al mio paese? Renderete più facile per un imprenditore l’intrapresa di un’avventura imprenditoriale? Farete tutto ciò rendendo più snello lo stato sociale ma senza sfasciarlo?
Se Forza Italia non ha queste risposte, mi sembra più che normale la conclusione: manca il prodotto e dunque i nuovi clienti vanno altrove.
Svecchiare la classe dirigente del partito sembrerà uno di quei film di Peppone e Don Camillo con Terence Hill che guida un enduro in clergyman. Sì, il linguaggio sembra giovanile, ma si rimpiange l’originale. Che almeno aveva un messaggio.
Siamo, cioè, ben lontani dalla miseria umana degli ultrà dell’intelligentia e della politica berlusconiana, tanto fanatici nel culto della personalità del capo quanto pronti ad abbandonare la barca del berlusconismo alle minime crepe acquifere e dunque dalla ridicolaggine di un Bondi che vent’anni dopo si accorge che “il Grande Capo è un Conte Ugolino che divora i suoi figli”, dopo avergli dedicato vent’anni prima carmi pieni di traboccante amore.
Le ragioni di Elisabetta Gardini, della Santanché, di Toti, della Ravetto e di chiunque abbia abbandonato il carro ormai in avanzato stato di dismissione del berlusconismo per ascendere a quello fiammante del salvinismo (o meno roboante ma ugualmente ascendente del melonismo) sono più che legittime, che presentino i rivoli di un percorso verso una nuova collocazione politica o configurino una semplice propria evoluzione personale. Quando un negozio non vende più il prodotto che ci piace, che sia da fornitori, da lavoratori o da clienti, non si vede perché continuare a frequentarlo.

Molti ripropongono l’annoso problema della leadership interna a Forza Italia. Ma è un falso problema. Intanto perchè il partito è di proprietà di Berlusconi e, mancando una disciplina che lo obblighi alle primarie, può autoeleggersi presidente a vita senza che nessuno possa schiodarlo da lì. E poi, prima di chiedersi se basta togliere di mezzo Berlusconi, la questione è semplice. Le risposte, alle domande di cui sopra, ci sono?
Perchè se la risposta è “no”, cambiare CEO non funziona. Sarebbe meglio chiudere: quando manca il prodotto, si chiude la baracca.
Dopodichè, se Berlusconi smentendoci tutti a novant’anni salirà di nuovo a Palazzo Chigi o magari addirittura al Quirinale e ritornerà il suadente leader che per vent’anni ha coagulato attorno a sè un consenso unico dal dopoguerra ad oggi, diremo di lui ciò che Achille Lauro (non il cantante) da presidente del Napoli disse al suo ex-asso Vinicio quando dopo averlo a trent’anni frettolosamente sbolognato – è proprio il caso di dirlo – al Bologna, lo incontrò che era diventato a quasi quarant’anni capocannoniere della serie A col Vicenza.
“Ci avevano detto che eri finito, salute uagliò”.

FRANCO MARINO

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *