L’EDITORIALE – UN PAESE DIVISO, PERSINO TRA CHI È CONTRO (di Matteo Fais)
“Siam pronti alla morte;/ L’Italia chiamò”, dice il nostro inno. Ed effettivamente qualcuno pronto a morire per il Paese ci sarebbe ancora – per quanto, sempre da verificare al momento opportuno –, malgrado l’odio instillato dai sinistri nei confronti della Patria.
Goffredo Mameli aveva anche ragione nel ricordarci la via giusta da seguire: “Uniamoci, amiamoci;/ L’unione e l’amore/ Rivelano ai popoli/ Le vie del Signore./ Giuriamo far libero/ Il suolo natio:/ Uniti, per Dio,/ Chi vincer ci può?”. Ma l’aspetto più interessante di quei versi sta nella notazione antropologica in cui si ricorda che “Noi siamo da secoli/ Calpesti, derisi,/ Perché non siam popolo,/ Perché siam divisi”.
Tombola! Ecco il punto. Qui da noi, comunque vada, si è separati su tutto, persino quando si è contro. Voci di corridoio, tanto per dire, mi informano che, anche nelle città in cui qualche anima santa si sta adoperando per dare vita a nuove manifestazioni di protesta contro il lockdown che di fatto che stiamo vivendo, ci sono dei casini insormontabili. Provate a immaginare da cosa sono generati. Semplice: Gino ce l’ha su con Pino, perché quest’ultimo gli sta antipatico; Caio è d’accordo a scendere in piazza, ma ha già detto che non verrà se è sicura la partecipazione di Sempronio perché lui che è juventino non andrà mai a protestare con un interista.
L’Italia, purtroppo, è questa qua. Mille rivoli che non si incontrano mai per formare un fiume. Al massimo, dieci di loro vanno a confluire in una pozzanghera che dura un mese e poi ognuno per conto suo. Non c’è niente da fare, è più forte di noi.
Il problema italiano, insomma, è tutto una faccenda di mentalità. Il dividi et impera è la nostra tara genetica. Inoltre, siamo pochi e ognuno vorrebbe primeggiare. Abbiamo avuto un Duce, ma il vero male sono stati i tanti ducetti. Ognuno, nel suo quartiere, si crea un regno a parte.
E nessuno che riesca comprendere che siamo tutti sulla stessa barca. Gli insegnati manifestano per sé stessi, i metalmeccanici idem, i privati non vogliono quelli del pubblico e viceversa. Gli italiani mi ricordano quella barzelletta in cui un aereo in volo si trova in difficoltà e un passeggero fa all’altro: “Vabbè, chi se ne frega se cade, tanto non è mio”.
Insomma, vedrete, anche tra noi che siamo contro la mascherina, il lockdown, i DPCM, i comunisti, ecc., alla fine non riusciremo a trovare un’intesa. Qualcosa andrà storto e, tra diversi mesi, dopo una nuova chiusura totale – perché ci sarà, statene pur certi –, saremo ancora lì ad accapigliarci e punzecchiarci, a scrivere commenti al veleno contro questo e contro quello, su Facebook o su un canale Telegram.
Che vi devo dire, di mio so solo che una rivoluzione, partendo da queste premesse, non la faremo mai.
Matteo Fais
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L’AUTORE
MATTEO FAIS nasce a Cagliari, nel 1981. È scrittore e agitatore culturale, fondatore, insieme a Davide Cavaliere, di “Il Detonatore”. Ha scritto per varie testate (“Il Primato Nazionale”, “Pangea”, VVox Veneto”). Ha pubblicato i romanzi L’eccezionalità della regola e altre storie bastarde e Storia Minima, entrambi per la Robin Edizioni. Ha preso parte all’antologia L’occhio di vetro: Racconti del Realismo terminale uscita per Mursia. Da ottobre, è nelle librerie il suo nuovo romanzo, Le regole dell’estinzione, per Castelvecchi.
hai ragione…il punto è quasi solo questo…siamo ancora ai capponi di Renzo