EDITORIALE – LE DUE AMERICHE (di Davide Cavaliere)
È stato detto centinaia di volte, ma lo ripetiamo: gli Stati Uniti sono fortemente polarizzati. Lo erano già durante la presidenza Obama, che scatenò la controffensiva repubblicana, ma il solco fra conservatori e progressisti si è allargato come non mai durante la presidenza Trump.
L’opposizione tra “destra” e “sinistra” non è più solo politica, ma antropologica. Gli elettori democratici sono “umanamente” diversi dagli elettori repubblicani. Sono due americhe, due culture, che condividono sempre meno valori.
Da un lato le tribù urbane progressiste, egemonizzate dal pensiero “liberal”, vagamente cosmopolite e indifferenti al retaggio storico dell’America. Trentenni o quarantenni “politicamente corretti”, “aperti”, che fanno jogging prima del lavoro, imbottiti di informazione “ufficiale”, alla quale non sanno opporre il senso critico. Gente che vive nell’indeterminazione dei concetti e nella noncuranza dei valori. Il loro motto è “se per te è ok, per me è ok”. Sono coloro che gravitano nel mondo dell’imprenditoria high-tech, del marketing, dello show-biz, dell’informatica, dell’accademia, della pubblicità, del cinema, dell’industria “green” di case ecosostenibili e pannelli solari. A votare Biden ci sono anche i giovani, i ventenni, ovvero le generazioni allevate al progressismo militante, deculturate, affascinate delle star della musica e convinte di essere migliori delle generazioni passate. Ragazzi che vanno in palestra, guardano le serie su Netflix, leggono tutti le stesse cose, pensano tutti allo stesso modo e sognano un mondo egualitario ed ecologista. Insomma, si tratta dell’America “post-materialista”, che parla in termini “globali” e “solidali”.
Poi c’è l’America rurale e rugginosa, desolata e minore. Nella provincia, nella campagna, vive e sopravvive l’anima popolare, quella dei lavoratori manuali, operai e coltivatori, lì dove il territorio è costellato di miniere e fabbriche perlopiù abbandonate. Un’America lasciata in pasto alla crisi e alle delocalizzazioni. Sola come non mai, stretta fra un passato d’oro irrecuperabile e un domani minaccioso come una nube nera e cancerosa. È quella parte della nazione legata alla propria terra, che non potrebbe lasciare neanche volendo, che lotta per tenersi la casa e affinché la Cina non si porti via anche l’ultima linea di produzione. Sono patrioti, amano le loro tradizioni, le pannocchie imburrate, indossano lo Stetson e nelle occasioni importanti si mettono il bolo tie e non la cravatta. Sono i redneck odiati da Black Lives Matter, i “bifolchi”, i “terroni” diremmo noi.
La suddetta america ha sostenuto Trump, perché crede nella tradizione americana e non vuole morire di ambientalismo e politicamente corretto hollywoodiano. Sono i veri americani che si oppongono ai borghesi-bohémien delle grandi città. Sono gli States contro l’uniformità globale. Sono la specie umana, ovunque, in via d’estinzione.
Davide Cavaliere
articolo stupendo. poeticamente e drammaticamente vero…
Tutto tragicamente vero…in gioco c’è l’identità degli Stati Uniti contro il Nulla Globale, che da noi ha già vinto