DEMOCRATICI “SOTTERFUGI” INTERNAZIONALI (di Andrea Sartori)
Queste elezioni americane non sono altro che l’ennesima cartina di tornasole dei nostri tempi. Parlare di vittoria di Biden sarebbe come parlare della vittoria di Serse alle Termopili o di Napoleone a Borodino. Trionfi sofferti che però si sono rivelati “sconfitte morali”, preludio al successivo disastro.
Le elezioni del 2020, innanzitutto, archiviano per sempre la “favola” di Obama, del quale Biden fu l’incolore vice: il “primo presidente afroamericano” non fu un outsider, ma uno scaltro opportunista, un personaggio costruito a tavolino dalla mafia clintoniana, un bravissimo e carismatico attore dalla bella parlantina. Non poteva nemmeno rivestire il ruolo simbolico di “discendente degli schiavi delle piantagioni che ce l’ha fatta”, perché non lo è mai stato. Lui proviene dagli stregoni della tribù kenyota dei Luo, di fatto il figlio di un businessman africano e di una hippie bianca. È il rozzo e pittoresco Trump il vero outsider, il JFK del nuovo millennio.
Le massicce frodi elettorali diventano una macchia gravissima sulla più antica democrazia occidentale dopo quella ateniese. Uno spettacolo mai visto nemmeno nei Paesi del Blocco sovietico. Con una differenza: i comunisti vecchio stile erano maestri nel farli bene i brogli. In questi giorni, abbiamo assistito a inganni di cui si sarebbe accorto persino un bambino: in Michigan ha votato un elettore nato nel 1823 (abbiamo forti sospetti che il suddetto non sia più in vita); un altro che si filma mentre brucia un pacco di voti destinato a Donald Trump; ci sono poi contee in cui il numero dei votanti supera quello dei residenti. Ma i dubbi dovevano venire anche a causa dell’eccessiva durata di queste elezioni: sino al 2016, ci svegliavamo la mattina sapendo già chi era il presidente. Uno spoglio che dura giorni interi, anche al netto delle difficoltà dovute a questa emergenza (guarda caso arrivata proprio l’anno delle presidenziali americane), già di per se doveva risultare sospetto. Ma quando vedi che in diversi Stati, in cui il vantaggio di Trump era talmente ampio da risultare incolmabile, si sospende il conteggio per ore e poi come per magia appaiono una valanga di voti per Biden, al punto da ribaltare il risultato, la situazione non può non risultare equivoca.
La cosa allucinante è che i media, quantomeno in Italia, hanno continuato a parlare dell’elezione come se nulla di strano stesse accadendo, quando sono capaci di parlare di brogli riguardo ai plebisciti sinceri – e chi ha vissuto in Russia lo sa, nonostante una flessione di popolarità in questi ultimi anni – che riceve Vladimir Putin a ogni tornata elettorale. Alla luce dei fatti non aveva più senso stare lì a guardare se Trump prendeva il North Carolina, o Biden il Nevada, perché tutto suonava falsato: ma questo a “Sleepy Joe”, che in uno dei suoi famosi lapsus aveva ammesso che stava preparando una macchina di brogli, non importa. Come non importa ai “democratici” che, a dispetto del nome, stanno mostrando tendenze totalitarie da Unione Sovietica.
Ma questo accomuna i democratici di sinistra di tutto il mondo: mantenere il potere costi quello che costi, anche infrangendo la legge. E il pensiero corre ancora all’Italia, dove il premier abusivo Giuseppe Conte ha appena licenziato uno dei suoi famigerati dpcm. Oramai, è chiaro quanto i brogli di Biden, come tali DPCM, siano incostituzionali. Lo hanno ripetutro illustri costituzionalisti quali Sabino Cassese, Annibale Marini e Cesare Mirabelli. Ma si è tirato diritto e i corifei di regime, ovvero i giornalisti, non fanno minimamente cenno a tutto questo, così come guardano la cartina degli Stati Uniti colorarsi di rosso o blu senza un minimo riferimento alle mostruose anomalie.
È un periodo oscuro per chi è democratico di fatto e non, come i neostalinisti italiani e americani, solo di nome. Perché tali violazioni della democrazia vengono taciute? Chi ne parla viene deriso, sbeffeggiato e infine isolato. Chi ha idee politiche di destra viene emarginato: la democrazia è quella cosa per cui è lecito che Conte e Trump possano piacermi o meno, che io possa persino insultarli, ma dalla quale sono escluse la demonizzazione e la distruzione dell’avversario.
Io, che apertamente parteggiavo per Donald Trump e lo ritengo, per una svariata serie di motivi (rilancio dell’economia, pace tra Israele e mondo arabo, abbassamento della tensione con Russia e Corea del Nord, aver compreso appieno il pericolo cinese), il miglior leader contemporaneo, qualora il suddetto fosse stato sconfitto in maniera regolare, ne avrei preso atto, perché questa è la democrazia. Dall’altra parte, invece, questa logica non esiste: piuttosto vincere barando, e, se possibile, distruggere anche fisicamente l’avversario. E allora, chi è il “fascista”?
Andrea Sartori
Chat Whatsapp: +393387524471
Telegram: http://www.telegram.me/andreasarto
Facebook: https://www.facebook.com/sartori.andrea.167
L’AUTORE
Andrea Sartori è nato a Vigevano il 20 febbraio 1977. Laureato in Lettere Antiche presso l’Università degli Studi di Pavia. Ha vissuto a Mosca dal 2015 al 2019 insegnando italiano e collaborando con l’Università Sechenov. Attualmente collabora presso il settimanale “L’Informatore Vigevanese”. Ha pubblicato con IBUC i romanzi Dionisie. La prima inchiesta di Timandro il Cane (2016) e L’Oscura Fabbrica del Duomo (2019) e, con Amazon, Maria. L’Eterno Femminino (2020)