L’EDITORIALE – ROCCO SIFFREDI, EMILY RATAJKOWSKI E I 5 EURO DELL’INPS: UN INCUBO CHIAMATO REALTÀ (di Matteo Fais)
Nel carosello quotidiano di notizie, quello per cui basta fare un riposino pomeridiano che già ci si ritrova fuori dal mondo, è difficile non incappare in motivi per deprimersi. Le peggiori insensatezze si susseguono senza tregua, stupide come i brani di musica commerciale passati in rotazione dalle radio.
Eppure, queste notizie per qualcuno hanno un peso. Molti attribuiscono anche alle più colossali stronzate un valore escatologico, rivelativo, catartico. Per esempio, apprendo mio malgrado di questa influencer, talmente nota che io ne ignoravo l’esistenza, tale Emily Ratajkowski, che pare sia incinta – leggo dal marito, ma in questi tempi di sovvertimento della realtà mi sarei aspettato addirittura che il pancione fosse lì per immacolata concezione. La gente ne è felice, vi si accalora a discuterne, anche perché la ragazza avrebbe fatto la provocatoria dichiarazione secondo cui “Quando ci chiedono se speriamo sia maschio o femmina, io e mio marito diciamo che non sapremo il suo genere finché non avrà compiuto 18 anni. Poi ce lo farà sapere”. Leggendo idiozie simili, penso a cosa sarebbe successo la notte del 5 giungo di ormai quarant’anni fa se mia madre avesse detto a mio padre, vedendo il mio dolce pistolino, che io, al compimento della maggiore età, avrei comunicato loro il mio genere di appartenenza. Posso solo figurarmi le sue bestemmie, i miei nonni materni che corrono a chiamare un esorcista e mia nonna paterna che grida “Oh Signore, mio figlio deve aver sposato una poco di buono comunista”. Adesso, senza arrivare a tutte le possibili sceneggiate del Sud Italia, a mio modestissimo avviso, semplicemente, tutto ciò non è normale. È l’aberrazione che viene imposta, bombardata quotidianamente dai mass media per convincere un branco di deficienti – gli italiani – che uno con la minchia non sia un maschio e una con la patata non sia un femmina, al netto delle tendenze sessuali che poi ognuno potrà palesare. Ogni tanto mi sembra davvero che qualcuno stia tutto il giorno a cercare di ipnotizzarmi per convincermi che due più due non fa quattro.
Nella rosa dei notizioni, poi, non poteva certo mancare il vip divenuto positivo al Coronavirus – stranamente, però, non è ne è mai morto uno. Il fortunato del giorno è Rocco Siffredi, leggendaria figura dell’immaginario collettivo italiano. Un ragazzo simpatico, per carità, e pure dotato di un discreto batacchio, che ormai per noi rappresenta ciò che Sartre era per i Francesi tra gli anni ’50 e ’70, insomma un maître à penser. Tutti i giornali si sentono in dovere di renderci noti i suoi ultimi progetti, i recenti premi ricevuti, prima di precisare che pure l’autista e la donna di servizio, oltre alla sua famiglia ovviamente, sono risultati contagiati. Leggendo la notizia, mi domando come io sia riuscito ad arrivare a ben quattro decenni di vita in un Paese dove ogni giorno non si parla che di Siffredi, calciatori e influencer, senza seriamente prendere in considerazione l’idea del suicidio – evidentemente, anche io sono anormale come i miei connazionali.
Dulcis in fundo, persino i giornali di regime si sono trovati costretti ad ammettere una triste realtà, ovvero che della cosiddetta cassa integrazione promessa dal Governo è arrivato poco o niente. Lo sa bene il manager di un ristorante romano, il quale si è visto arrivare un bonifico di 5 euro, con la causale “Integrazione al reddito Covid- 19”. Il problema è che, se fossimo in un Paese normale – quindi non in un posto dove la gente scatena la guerriglia urbana in occasione del derby tra due squadre di calcio –, le persone avrebbero bloccato lo strade per una cosa simile. Ma non viviamo in un Paese normale e, forse, nel mondo non esiste alcun Paese che possa dirsi tale.
La verità è che, davvero, a volte ho l’impressione di vivere come in un gigantesco gioco di società, in un Truman Show per cui, a un certo punto, sentirò una voce fuori campo che mi comunicherà che tutto ciò che ho visto fino a oggi è stata una colossale presa in giro, che esiste davvero una razionalità, un alto e un basso, che due più due fa in ultimo quattro. Suppongo che anche Winston Smith, il protagonista di 1984, si sentisse come me.
Matteo Fais
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L’AUTORE
MATTEO FAIS nasce a Cagliari, nel 1981. È scrittore e agitatore culturale, fondatore, insieme a Davide Cavaliere, di “Il Detonatore”. Ha scritto per varie testate (“Il Primato Nazionale”, “Pangea”, VVox Veneto”). Ha pubblicato i romanzi L’eccezionalità della regola e altre storie bastarde e Storia Minima, entrambi per la Robin Edizioni. Ha preso parte all’antologia L’occhio di vetro: Racconti del Realismo terminale uscita per Mursia. Da ottobre, è nelle librerie il suo nuovo romanzo, Le regole dell’estinzione, per Castelvecchi. .