L’EDITORIALE – RIVOLTE? MA DOVE? L’ITALIA È UN PAESE DI PAROLAI (di Matteo Fais)
È una vita che sento parlare di rivoluzione. La si annuncia continuamente. In qualunque bar uno si rechi, incapperà sempre in quegli uno-due pensionati che “per questi ci vorrebbe la forca”, “sono tutti ladri, bisognerebbe metterli di fronte al plotone d’esecuzione” e altre varie fantasticherie assortite.
Più realisticamente, a noi piace parlare, discutere, disquisire, analizzare, strapparci i capelli e gridare, per poi tornare compostamente a casa per pranzo, verso le 12 e 30, con la cotoletta di mamma che ci aspetta. I politici questo lo sanno bene.
Per comprendere gli italiani, niente è più antropologicamente istruttivo di una riunione di condominio. La prassi è più o meno sempre la stessa, con un amministratore che, ormai abituato ai vaneggiamenti dei condomini, ascolta le loro fantascientifiche richieste espresse con infinito pathos drammatico. Chi vorrebbe il giardino comune sul tetto del palazzo, chi gli orti verticali in ascensore. Se ne sentono di tutti i colori, a livello di ipotesi, ma poi si hanno problemi anche per cambiare la lampadina fulminata nell’androne. Dopo tre ore di infuocata discussione, ancora non si è deciso se questa debba essere da 100 o da 150 watt.
Me li immagino proprio gli italiani che fanno la rivoluzione, tra uno che alle 17 deve andare a prendere il thè dalla sua madrina di battesimo e la casalinga di Voghera con la torta in forno e il bambino sul fuoco. Ma neppure se dovessero trovarsi con le pezze al culo. E sapete perché? Perché gli italiani, comunque, se la cavano sempre, nella salute e nella malattia, col terremoto o col bel tempo, con una confezione di minestrone surgelato o dieci aragoste.
È la mentalità della sopportazione, il fatalismo degli inguaribili ottimisti. Come dicevano le nonne di un tempo a figli e nipoti: “Ci sarà Dio anche per te”. Che ti abbiano fatto fuori a un concorso per colpa di un raccomandato, o che lo stipendio ti sia stato dimezzato, una soluzione c’è ogni volta, come trovare una raccomandazione a tua volta, o vedere dimezzato anche lo stipendio del tuo migliore amico – mal comune mezzo gaudio.
E, in effetti, Conte, con il suo nuovo DPCM, ha compiuto proprio un capolavoro italiano. Io, per primo, non c’ho capito un cazzo. Non so chi chiude e chi apre. Una roba da vero azzeccagarbugli, o forse un prodotto poetico per cui “Mi contraddico? È perché contengo moltitudini”.
Una sola cosa è certa: per una settimana, ci saranno qualche centinaia di persone che, qui e lì, si daranno appuntamento per gridare e maledire, così da intrattenere le signore con i bigodini ai balconi. Dopodiché, tutto tornerà come prima. Cambierà tutto per non cambiare niente. Trascorreremo un sereno Natale in famiglia, con più poveri e disoccupati, ma, insomma, non ci mancheranno le lasagne e il cotechino con le lenticchie. Per la rivoluzione, ne parliamo dopo le feste, quando ci dovremmo porre un ben più serio problema: smaltire tutto quello che avremo mangiato. Sì, Signori, l’Italia è questa qua.
Matteo Fais
Canale Telegram di Matteo Fais: https://t.me/matteofais
Chat WhatsApp di Matteo Fais: +393453199734
L’AUTORE
MATTEO FAIS nasce a Cagliari, nel 1981. È scrittore e agitatore culturale, fondatore, insieme a Davide Cavaliere, di “Il Detonatore”. Ha scritto per varie testate (“Il Primato Nazionale”, “Pangea”, VVox Veneto”). Ha pubblicato i romanzi L’eccezionalità della regola e altre storie bastarde e Storia Minima, entrambi per la Robin Edizioni. Ha preso parte all’antologia L’occhio di vetro: Racconti del Realismo terminale uscita per Mursia. Da ottobre, è nelle librerie il suo nuovo romanzo, Le regole dell’estinzione, per Castelvecchi. .
In effetti qualche scaramuccia non fa primavera. La strategia del cerchiobottismo contiano (‘vi tolgo tre dita ma vi concedo di usare le altre’), oltretutto illusorio, sta tenendo tutti buonini perché si avvicinino al Natale con santi propositi di pazienza sociale e tarallucci&vino inclusi aggratis nel locdàun, ovviamente di caratteristiche normate da Bruxelles (sia i tarallucci che il locdàun). I resistenti della resistenza resistono a star dalla parte del governo, peccato che l’8 settembre è appena trascorso senza cambi di rotta perché se fosse saltata qualche poltrona eccellentissimo e con nuovo governo in vista mi sa che qualche camicia rossastra, davanti alla rovina, sarebbe tornata più sullo scuro. Nel frattempo nulla, nemmeno un tanko, solo qualche petardino per anticipare le prossime festività. Siamo proprio un gran popolo di buoni. Ma attenzione alla banda di Roma, ‘se vuoi vedere dei cattivi, … ‘