IL SENSO DELLA RIVOLUZIONE (di Franco Marino)
L’io è odioso, raccomandava Pascal, ma vi sono circostanze in cui, per spiegare qualcosa che è frutto dell’esperienza personale, bisogna parlare, per definizione, della propria persona.
Quando ero uno studente liceale, nel liceo più famoso e prestigioso della mia città – ma anche il più schifosamente conformista e radical chic – mi trovai ad andare contro la corrente della mia classe che voleva a tutti i costi il cosiddetto “sciopero”. Che come è noto, usa i pretesti più disparati per giustificare il semplice desiderio di marinare la scuola senza dover presentare una giustificazione scritta.
Con tutta l’ingenuità dei miei sedici anni, supplicai i miei compagni di classe di rendersi conto che quella pausa di oltre un mese (iniziò prima dell’Immacolata e finì ben oltre l’Epifania) si sarebbe ritorta come un boomerang contro tutta la nostra classe. Ma non ci fu nulla da fare. Qualcuno potrà pensare che in virtù di questa posizione, io fossi amato dai professori. Tutt’altro. I docenti liceali che pure amano farsi passare come i numi tutelari della cultura e dello studio, in realtà riflettono la media del funzionario pubblico: nullafacente e cialtrone, interessato solo allo stipendio fisso, conformista. In quel momento, io rompevo le uova di funzionari pubblici, ossia prendere un mese di stipendio in cambio del dolce far niente.
Quando l’assemblea di istituto decretò, come prevedibile, la vittoria dello “sciopero”, le urla di giubilo di tutto l’istituto furono tali da ridicolizzare quelle di uno stadio dopo una rete della squadra di casa. E negli occhi dei miei sciocchi compagni si leggeva un misto di odio, cattiveria e gioia come a dire “Brutto bastardo, hai fatto di tutto per rovinarmi un mese di vacanza invernale, ma hai perso”.
La mia intuizione, che si rivelò giusta nel lungo termine, con carichi di studio da bestie di soma e una valanga di tre e di quattro a tutta la classe, oltre ad una serie di sette in condotta a fine quadrimestre, nel breve venne ovviamente avversata da tutto il resto della classe con la quale i rapporti si deteriorarono al punto che fui praticamente costretto l’anno successivo, dopo un lungo mobbing, ad andarmene, e con i professori. Che certamente sul piano della maturità e della moralità non erano superiori ai loro allievi. E che se la presero anche con me, abbassando la media dei miei voti, fino a quel momento più che buona.
Quell’episodio dolceamaro – dolce perchè rimanda ad una giovinezza i cui problemi rispetto a quelli dell’età adulta sono davvero poca cosa e amaro perchè mi fece soffrire molto ed ebbe implicazioni psicologiche che durano ancora oggi – mi illustrò come nient’altro che di fronte all’emotività non vi è razionalità che tenga. L’emotività subisce l’enorme fascino della bugia e porta persone anche intelligenti ad abbracciare le tesi più assurde, perchè la razionalità non ha lo stesso potere seduttivo. Si potrebbe dire che la bugia e la verità stiano alla vita come lo scattista e il maratoneta stanno all’atletica. Il velocista dura poco e la sua carriera è breve. Ma il suo ipertrofico fisico provoca nel gentil sesso spasmi che il maratoneta può solo sognarsi ed è guardando la sua gara sulle brevi velocità che miliardi di persone si collegano alle TV per vedere se il centometrista Tal dei Tali abbasserà il record sui cento metri. Di sicuro ad assistere a ore di corsa lenta saranno in pochi.
A consolare il maratoneta sarà la possibilità di poter correre sino ai 60 anni e oltre, sempre che si alleni come si deve e di piacere ai veri appassionati di sport, tanto che la maratona è definita la regina dell’atletica. La corsa lunga è inoltre una dolce compagna di viaggio anche quando non si è più giovanissimi, oltre ad essere garanzia di un corpo leggero e salutare, cosa che il centometrista si sogna, spesso diventando un bisonte.
E’ con questo spirito che assisto alle rivolte di Napoli, non sorprendendomi come l’adrenalina dello scontro fisico e scriteriato seduca i più, analogamente a quanto già accaduto con l’estemporaneo fenomeno dei Gilet Gialli – a posteriori rivelatisi un semplice strumento contro Macron – o anche con le numerose primavere arabe e colorate, promosse da Obama e dagli scagnozzi della cultura liberal. Molti, di colore politico diverso di volta in volta, hanno tifato per le famose guerre di esportazione della democrazia che hanno ottenuto finora solo di peggiorare la situazione nei posti ove si è cercato di far fuori personaggi discutibili quanto si vuole ma gli unici che garantissero un equilibrio.
Nessuno nega che le rivolte, quelle di oggi ma anche quelle la cui natura truffaldina è ormai sgamata, abbiano una fortissima base di ragioni e che a perseguirle siano anche e soprattutto persone perbene. Ma, intanto, organizzare una rivolta richiede competenze, know-how, esperienza, tutte qualità che, chiunque se ne sia occupato potrà testimoniarlo, ridicolizzano ogni preteso spontaneismo. Soprattutto, la differenza tra una rivoluzione ben studiata e una rivolta, risiede nella capacità delle une e delle altre di lasciare una traccia.
La rivoluzione si fonda sulla creazione di una nuova società (futurismo) o sul ripristino di valori precedenti allo status quo (reazionarismo). E non significa che non debba essere violenta, anzi. Io scrivo della necessità di una svolta violenta DA ANNI. E lo scrivevo in anni in cui a dirlo si rischiava di essere ritenuti pazzi ed esaltati persino da persone ideologicamente vicine. Non lo scrivo solo oggi che tutti se ne sono resi conto e solo adesso che a costoro sta prudendo il sedere.
Ma tutto è questione di metodo e orientamento. Se le malattie si guariscono con i farmaci, non significa assolutamente che ogni farmaco guarisce le malattie. Ci vuole la giusta violenza, nel giusto momento e con le giuste persone. E le giuste persone non sono certo i camorristi e le zecche dei centri sociali.
Esiste in questo paese la convinzione che gli italiani non vogliano mai cambiare nulla ed è un errore. Gli italiani di riforme ne hanno fatte sin troppe. Ma mai nessuna di esse figlia di un disegno rivoluzionario e mai con le persone giuste. Dal Sessantotto ad oggi, passando per Mani Pulite, abbiamo avuto solo adrenalinici e dunque inconcludenti cambiamenti che dapprima hanno creato un unanimismo di massa, foriero di illusorie speranze, per poi declinare e dare dunque ragione a quel Tomasi di Lampedusa, formidabile intellettuale, che in troppi ingenerosamente ricordano per il più celebre dei passi del suo Gattopardo: cambiare tutto affinchè tutto rimanga com’è.
FRANCO MARINO