DALLO “SC@MO DEL VILLAGGIO” AL FOLLOWER – FENOMENOLOGIA DEL DEGRADO (di Davide Cavaliere)
Viviamo l’epoca più demenziale della storia dell’umanità. Un tempo ebete, non ignorante, sia chiaro. Un contadino italiano di cento anni fa nasceva e moriva con la zappa in mano, ma era meno idiota di un trentenne odierno con Facebook, Instagram, TikTok, tablet e ultimo modello di smartphone preso a rate.
Lo sviluppo economico ha fatto miracoli. Non solo ha strappato milioni di italiani dalle grinfie della povertà, ma ha permesso l’alfabetizzazione di massa, ha reso i libri economici, i teatri facilmente accessibili e piazzato un cinema in ogni paese. Attraverso la rivoluzione digitale, poi, ha aperto nuovi spazi culturali, favorendo la nascita di blog e giornali online ben costruiti e attendibili, ma niente di tutto questo ha migliorato i nostri connazionali.
I social media hanno segnato il trionfo della mediocrità, della spazzatura mediatica, dei fenomeni da baraccone; trasformato i popolari “scemi del villaggio” in star imitate, condivise e ammirate. La colpa di tutto questo non è dello strumento, che agisce secondo logiche commerciali, ma degli individui. Sono i singoli che, invece di fare di Facebook una specie di edicola, hanno preferito imbottirsi di video ridicoli, gattini, bambini paffuti e minchionerie di vario genere.
Per Instagram bisogna fare un altro discorso. Questo social network nasce per fare leva sugli istinti più bassi della natura umana: esibizionismo, egocentrismo, spirito gregario, desiderio di successo. Infatti, esso è monopolizzato da entità vuote e prive di qualunque spessore, non dico culturale, ma umano. Eppure, soggetti come la Ferragni e i vari influencer, attirano milioni di utenti. In un mondo abitato da persone con gli attributi, la Ferragni laverebbe vomito di bambino nelle corsie dei supermercati e Instagram sarebbe fallito miseramente.
Ma niente di tutto questo avviene e la ragione è rintracciabile nella povertà intellettuale ed emotiva delle maggioranze. Milioni e milioni di individui, non ci stanchiamo di ripeterlo, vanno in visibilio per il bambino della coppia Ferragni e Fedez, ma non hanno mai letto una riga di Pirandello oppure osservato un quadro di Miró. Un moccioso biondo interessa più di una poesia di Wallace Stevens o di un capolavoro del Caravaggio. Alla base di una siffatta tendenza non c’è solo una scarsa educazione scolastica, ma una desertificazione delle tensioni più alte e profonde dello spirito. Balletti, mode, cuccioli umani e non, interessano e attirano più della grande letteratura. È possibile, davvero, che si prediliga Gio Evan a Leopardi? A quanto pare, sì. Nessuno è desideroso di elevarsi a vette più alte di quelle fornite dal contingente? A quanto pare no. Il figlio della Ferragni è l’orizzonte umano di milioni di italiani, dopo il “principino” George.
Non possiamo non parlare, anche, dell’epidemia di sentimentalismo scatenata dai social. Facebook, ma ancor di più Instagram, sono terreni fertili per vicende strappalacrime, confessioni, “outing” ed empatia spicciola. Dalla ragazza col tumore al giovane omosessuale preso in giro, dalla cicciona fino al cagnolino abbandonato, tutto viene riversato nelle piattaforme digitali, generando quella nauseabonda commistione di vittimismo, facile commozione, pornografia dei sentimenti, carinerie diffuse e banalità, che caratterizza la nostra epoca. I trentadue milioni di “follower” della Ferragni e il milione che segue la pagina Facebook “Baby George ti disprezza”, non solo rivela un grave deficit intellettuale, ma anche emotivo. La loro visione del mondo è racchiusa nelle “stories” di una “influencer”, il loro linguaggio formattato dai “meme”, il loro senso estetico e le loro idee fabbricati altrove. Sono automi assuefatti da contenuti grotteschi.
Gli individui che affollano il mondo dei “social” sono intimamente fragili, incapaci di affermare sé stessi in modo autonomo, bisognosi di approvazione, manchevoli di senso critico, attratti solo da ciò che è carino e conviviale, incapaci di confrontarsi con i lati negativi delle condizione umana. I social network sono il vivaio di generazioni che avranno, sempre più, lo spessore mentale dello smartphone da cui sono dipendenti. Ci penserà la realtà a farli a brandelli.
Davide Cavaliere
L’AUTORE
DAVIDE CAVALIERE è nato a Cuneo, nel 1995. Si è laureato all’Università di Torino. Scrive per le testate online “Caratteri Liberi” e “Corriere Israelitico”. Alcuni suoi interventi sono apparsi anche su “L’Informale” e “Italia-Israele Today”. È fondatore, con Matteo Fais, del giornale online “Il Detonatore”.