DALLA RUSSIA CON AMORE? – (di Davide Cavaliere)
Confesso: sono un po’ russofobo. Quella nazione così estesa m’inquieta e non riesco a non associarla ai Protocolli dei Savi di Sion, ai pogrom, alla povertà endemica, alla rivoluzione bolscevica, al massacro di Ekaterinburg, al formaggio coi vermi della corazzata Pötemkin, a Vasilij Grossman che muore, perseguitato e solo, di cancro allo stomaco, a Chernobyl e alle guerre in Cecenia. La Russia è un’area di tenebra. Così mi pare. Non riesco a considerarla “occidentale”. D’altronde, nel 1806, Napoleone poteva affermare “Esistono solo due nazioni nel mondo, la Russia e l’Occidente”.
Intorno alla Russia di Putin si è creata una bella favola. Sarebbe uno Stato nazionale deciso a contrastare la “decadenza” occidentale e a fermare l’invasione islamica dell’Europa. Una narrazione che non regge il confronto con la realtà e la storia, gli interessi della Russia non sono quelli della civiltà occidentale di cui non è parte.
La Russia, da Pietro il Grande in poi, ha guardato all’Occidente ma pur sempre mantenendo la sua specificità orientale e con grandi contrasti e perplessità, ma da Ivan il Grande in poi non ha mai fatto parte del sistema geopolitico e culturale occidentale. È un fatto incontestabile.
Nel 1488, Massimiliano I d’Asburgo tentò di integrare la Russia nel sistema politico occidentale offrendo una corona regale a Ivan il Grande. Il Granduca di Mosca rifiutò l’onore asserendo che la sua autorità gli derivava dai suoi antenati e che non c’era bisogno della consacrazione da parte dell’imperatore occidentale. Un secolo dopo, nel 1576, Massimiliano II fece una proposta ancora più audace, offrendo a Ivan IV il riconoscimento di imperatore dell’Oriente greco e ortodosso, ma Ivan rifiutò. La Russia sulla base al corso datole da Ivan IV si escluse dallo sviluppo delle istituzioni rappresentative precipue degli Stati-Nazione dell’Occidente.
I filorussi spesso evocano le figure di Tolstoj e Dostoevskij per sostenere la fratellanza politica della Russia con l’Europa, senza sapere che entrambi erano avversi all’Occidente, credevano che solo dal popolo russo incontaminato potesse venire la palingenesi religiosa e politica dell’umanità. L’Europa era per entrambi un luogo decadente da cui non poteva giungere alcuna salvezza, né spirituale né politica.
Ma la definitiva rottura fra Europa e Russia è avvenuta con la rivoluzione bolscevica del 1917, che ha diviso, forse per sempre, la civiltà slava da quella occidentale. L’Unione Sovietica integrò le secolari ambizioni geopolitiche della Russia in chiave rivoluzionaria. Uno dei titani intellettuali del Novecento, Eric Voegelin, nel 1952, scriveva in uno dei suoi libri seminali, La Nuova Scienza Politica, a proposito del comunismo sovietico: “L’attuale estensione dell’impero sovietico sui paesi satelliti corrisponde sostanzialmente al programma di un impero slavo sotto egemonia russa quale fu, ad esempio, proposto da Bakunin a Nicola I. È legittimo pensare che un impero egemonico russo non comunista avrebbe oggi la stessa estensione dell’impero sovietico e costituirebbe un pericolo ancora maggiore, perché potrebbe essere meglio consolidato”.
La volontà di potenza russa è propagandata da Alexander Dugin, la cui visione dell’Eurasia ha sedotto tanti militanti di destra. La retorica anti-liberale e antiamericana del barbuto filosofo russo serve solo a far digerire meglio l’imperialismo putiniano agli occidentali. Dugin considera l’Europa una terra di conquista e basta, un pascolo russo e nulla più. Quali vantaggi otterrebbe Roma nel diventare la periferia dell’Eurasia? L’Italia, marittima per vocazione, perché dovrebbe seguire le fantasie telluriche di Dugin?
Inoltre, la Russia moderna è una cleptocrazia arretrata, incapace di produrre qualcosa che vada oltre il gas naturale e le armi e dove la ricchezza è spartita fra una classe di oligarchi ed ex apparatčik.
Dall’Unione Sovie… ops! Dalla Russia, bisogna guardarsi con attenzione.
Davide Cavaliere
Ed è subito “Grande Gioco”.