IL DISTURBO MENTALE DEI SEGNALATORI DA SOCIAL NETWORK (di Matteo Fais)
Facebook, potenzialmente, sarebbe una piattaforma fantastica. La possibilità di una genuina comunicazione globale, estesa e aperta a tutti. Come al solito, però, l’ideale che si tramuta in realtà si rivela un incubo.
Gli standard della community sono baggianate. O meglio, risultano così vaghi e indefiniti che praticamente imperversa l’arbitrio più totale. Cosa è incitamento all’odio e cosa espressione del dissenso? Lo sanno solo i creatori della piattaforma. Ci sono sinistri che non vengono bloccati dopo aver scritto “devi morire”, “verremo a prenderti”, e gente di Destra che viene bannata in eterno per aver detto “Prima gli italiani” – cosa ben diversa dal sostenere “uccidiamo i non italiani”.
Ma lasciamo perdere, non è questo il punto. Facebook può proliferare secondo tali folli schemi solo perché la gente accetta una libertà da regime sovietico.
Proprio poco fa, tanto per fare un esempio, sono incappato in un post Instagram di Indica Flower, una pornostar americana. Lamentava il fatto che, su quel social, arrivassero segnalazioni di massa su ogni immagine da lei caricata, pur non contenendo il suo account dei nudi. Giustamente, si chiedeva come la gente possa essere animata da tanto odio nei suoi confronti e perché non smettano semplicemente di seguirla, invece che organizzarsi per attaccarla in branco.
Vedete, un tempo c’erano solo i giornali cartacei e la televisione. La comunicazione era monodirezionale: da loro a noi. Al massimo, uno poteva sbraitare all’indirizzo della schermo, o smadonnare contro l’editorialista. Non proprio la quintessenza della dialettica. Diciamo che la possibilità di far sentire la propria opinione è maggiormente auspicabile del vivere entro un regime in cui esistono quelle quindici voci mainstream e niente più.
Sta di fatto che ciò è bello se si può lasciare ognuno libero di dire ciò che meglio crede, fatte salve le responsabilità legali di certe affermazioni.
C’è gente, però, che invece che limitarsi a criticare, ambisce proprio a cancellare dalla galassia social qualsiasi cosa che in qualche modo dia fastidio alla sua sensibilità. Come se uno, nel vicinato, premendo un pulsante, potesse far scomparire chi non gli sta simpatico – mi pare si vedesse qualcosa di simile anche in una puntata di Black Mirror.
La verità è che il mondo è pieno di persone così, gente disturbata e insicura, potenzialmente violentissima, e i vari social stanno, più o meno consapevolmente, esacerbando le loro pericolose tendenze. Nessuno, a meno di non diventare un assassino, può cancellare dall’universo, qualsiasi persona o cosa che in qualche modo gli risulti sgradevole. Facebook & company, invece, lo permettono e, in ciò facendo, portano dei soggetti palesemente affetti da problemi a stadi di psicopatologia senza precedenti. Non ci si può creare un mondo a propria misura, fatto solo di amici e persone benevole, in cui tutti la pensano come noi. Gli altri, si potrebbe addirittura dire, sono nati per deluderci, per mettere in dubbio le nostre convinzioni – “l’inferno sono gli altri” dice Sartre. I segnalatori di professione non accettano questo, sono i nuovi psicopatici, gente che corregge le storture del mondo con la spada del mouse. Chi cerca di far chiudere le pagine di Casapound, Altaforte, “Il Primato Nazionale”, Indica Flower, Salvini, sono questo, gente insicura e piena di complessi che si dipinge come un giustiziere della notte, invece che per ciò che è: un essere con problemi relazionali e bisognosa di aiuto a livello psicologico.
Matteo Fais
L’AUTORE
MATTEO FAIS nasce a Cagliari, nel 1981. È scrittore e agitatore culturale, fondatore, insieme a Davide Cavaliere, di “Il Detonatore”. Ha scritto per varie testate (“Il Primato Nazionale”, “Pangea”, VVox Veneto”). Ha pubblicato i romanzi L’eccezionalità della regola e altre storie bastarde e Storia Minima, entrambi per la Robin Edizioni. Ha preso parte all’antologia L’occhio di vetro: Racconti del Realismo terminale uscita per Mursia. A ottobre, sarà nelle librerie il suo nuovo romanzo, Le regole dell’estinzione, per Castelvecchi.