MA QUALI DINAMICHE SESSISTE! LA VERITÀ È CHE, GIUSTAMENTE, NON PUOI ESSERE LIBERA DI FARE COME TI PARE (DI MATTEO FAIS)
Il problema è sempre lo stesso: le donne cresciute dopo il ’68 pensano di poter fare come cazzo preferiscono. Secondo loro, se gli ormoni al mattino dicono di uscire nude, dovrebbero potersi togliere mutande e reggiseno e circolare liberamente per strada. Una sega!
Ma andiamo con ordine. Breve antefatto. Sta tizia, tale Jeanne – classica faccia da femminista sfegatata, come potete notare dalla copertina di questo pezzo –, l’altro giorno, è stata presa da una voglia incontenibile di recarsi al Museo d’Orsay, a Parigi. Sappiamo tutti bene come sono le donne: se vogliono una cosa, se la prendono e non sentono ragioni. Secondo loro, se al bar è finito il bianco di importazione francese – quel bianco lì e solo quello – il cameriere dovrebbe volare seduta stante in Francia, affinché lei possa avere il suo calice. Colpa nostra che le abbiamo abituate male – sarebbero serviti molti di quei “no” che aiutano a crescere.
Sta di fatto che, all’ingresso, viene fermata. Ha le bocce bene in vista. Le piantano un casino perché le regole del posto impongono decoro – sapete com’è, malgrado la mercificazione imperante, un museo non è un bordello.
Ecco che subito, la Signora grida al sessimo e – apriti cielo – di fronte alla formula di magia nera, anche i responsabili del museo devono subito cospargersi il capo di cene e presentare le loro più sentite scuse. Inutile dirlo, in Francia sono già completamente corrotti, ma nel nostro Paese, se ci fossero dei maschi ancora dotati di attributi, a una così le direbbero: “Sentici bene, bella, non ce ne sbatte niente delle tue minacce e ricatti morali. Sei libera di fare come preferisci, in camera da letto, ma in società, in un luogo pubblico – e, soprattutto in questo – ci sono delle regole”.
E, infatti, sta proprio qui il punto: noi abbiamo smarrito, grazie alla Sinistra e in particolare al femminismo, il senso del limite. Non si tratta di tirar su una società repressiva. Ogni contesto ha le sue regole. E, soprattutto, ogni contesto sociale ha degli spazi appositi in cui certi comportamenti sono banditi e altri no. In un campo da calcio, si gioca in pantaloncini, non in giacca e cravatta. Un Preside di Facoltà, o di scuola superiore, è buon costume che riceva genitori e studenti vestito come si deve e non in canottiera – in casa sua, poi, potrà pure mettersi comodo, ma non in una realtà in cui riveste un certo ruolo istituzionale. Punto. Non bisognerebbe sentire ragioni. La Sinistra e il femminismo, che hanno a cuore il sovvertimento della società, ovviamente, sostengono che questa posizione sia fascista. Pazienza, ce ne faremo una ragione.
Persino Jean Paul Sartre, in un bellissimo e molto istruttivo capitolo di L’Essere e il Nulla, ci richiama all’importanza dell’abito che, celando le nostre carni, ci permette di non essere considerati come oggetto, ma come coscienza. Per esempio, nel coprire i miei muscoli addominali, o i miei bicipiti, io chiedo di essere preso in considerazione per le mie idee e non come oggetto di attrazione o repulsione a livello sessuale. Non ci vuole uno dei più grandi filosofi francesi per capirlo. Quando mi spoglio al cospetto di una donna, infatti, io chiedo di non essere visto più semplicemente come un intelletto, ma come un essere fatto di carne.
Del resto, si potrebbe anche aggiungere a latere, che questa deriva esibizionista sta generando non pochi problemi nel mondo. È perché siamo sovraesposti a un erotismo imperante e castrante – quello del “io posso mostrarmi, ma tu non azzardarti neppure a guardarmi” – che trionfano perversioni oscene e via dicendo. Alla fine, la mera nudità e il sesso canonico finiscono per non bastare, per assuefare. Ecco, pertanto, farsi largo il masochismo e il sadismo – non lo dico solo io, leggetevi il Houellebecq di Le particelle elementari.
Basta! Se vogliamo riscoprire l’erotismo, dobbiamo imporre la necessità di un limite. Coprirci prima, per scoprirci meglio dopo. La vera repressione è il femminismo che ti dice “fai un po’ come cazzo ti pare”.
Matteo Fais
L’AUTORE
MATTEO FAIS nasce a Cagliari, nel 1981. È scrittore e agitatore culturale, fondatore, insieme a Davide Cavaliere, di “Il Detonatore”. Ha scritto per varie testate (“Il Primato Nazionale”, “Pangea”, VVox Veneto”). Ha pubblicato i romanzi L’eccezionalità della regola e altre storie bastarde e Storia Minima, entrambi per la Robin Edizioni. Ha preso parte all’antologia L’occhio di vetro: Racconti del Realismo terminale uscita per Mursia. A ottobre, sarà nelle librerie il suo nuovo romanzo, Le regole dell’estinzione, per Castelvecchi.