I MARXISTI DELL’AMERICA NON HANNO CAPITO NIENTE – RISPONDIAMO ALLE CRITICHE DI FILOAMERICANISMO (DI DAVIDE CAVALIERE)
Il precedente articolo sulla politica estera americana (https://ildetonatore.it//2020/09/02/dalla-parte-dellamerica-unapologia-di-davide-cavaliere/) è stato oggetto di alcune intelligenti critiche, che meritano una risposta e una confutazione. Bisogna, dunque, muovere nuovamente dalla definizione di “imperialismo”. Secondo Lenin sarebbe la “fase suprema del capitalismo”, la sua versione più rapace e aggressiva. Ma si tratta della solita distorsione materialista del marxismo: anche l’antica Roma era imperialista, ma certamente non era capitalista. L’Unione Sovietica fu imperialista, come ben sanno le nazioni dell’Europa orientale, ma anch’essa non può essere tacciata di rappresentare la “fase suprema del capitalismo”.
È stato anche scritto che, il mio articolo, si sarebbe concentrato solo sulle correnti della politica americana, quando in realtà bisognerebbe guardare, primariamente, alla struttura economica. Anche qui siamo in presenza del cieco economicismo marxista, che trovò una prima ed efficace demolizione nelle teorie di Max Weber. I valori guidano il mondo non meno della produzione industriale, alcune decisioni sono imposte da personalità carismatiche. La rivoluzione comunista era per Marx una necessità storica dettata dalle crescenti disuguaglianze prodotte dall’economia industriale, ma storicamente si concretizzò in un Paese agricolo e feudale. Alla base della rivoluzione bolscevica si colloca l’atto di volontà di una minoranza. Lo stesso si potrebbe dire anche di Cuba.
Quello che viene indicato come “imperialismo”, spesso, altro non è che l’effetto indiretto che le scelte politiche americane hanno sul pianeta, nel bene e nel male.
Si accusano gli Stati Uniti d’America di essere preda delle lobby private. Le corporazioni economiche hanno un ruolo rilevante, è innegabile, ma non controllano e non determinano la politica estera americana. Anche questa visione è afflitta dallo sclerotico riduzionismo marxista. Le cause di una guerra, ad esempio, sono ideali ed economiche, politiche e idiosincratiche, frutto di una pluralità di prospettive non riconducibili a un nucleo coerente. I critici dell’America dimenticano spesso che le economie socialiste erano in mano a ristrette burocrazie statali e partitiche, la cosiddetta “nomenklatura”, che lungi dell’operare in nome del popolo perseguiva interessi egoistici e politici.
Numerosi critici hanno ricordato che gli statunitensi finanziarono talebani, mujaheddin e jihadisti in funzione antisovietica. Vero. Ma allora il nemico principale da abbattere era l’URSS e il mondo islamico si rivelò un alleato formidabile. Va anche detto che la pericolosità dell’Islam radicale fu sottovalutata a livello globale. Nessuno, salvo Samuel Huntington negli Anni Novanta, prese sul serio il rischio rappresentato dal fondamentalismo islamico. Inoltre, l’America non creò l’islamismo, ma lo alimentò con denaro e armi, imprimendo, forse, un’accelerazione allo scontro fra Occidente e Islam. Ammettendo anche che il governo statunitense abbia favorito l’insediamento dei talebani in Afghanistan, essi sarebbero maggiormente chiamati alla loro rimozione da Kabul.
Ma non finisce qua, gli USA sono accusati di aver rimosso Saddam, il gangster baathista. Il dittatore iracheno era un problema per il mondo arabo, non una speranza. Al momento dell’invasione del Kuwait, la Lega Araba si schierò in favore dell’intervento militare occidentale. Persino la Siria di Assad partecipò alle operazioni belliche contro Saddam. Il grottesco tiranno di Baghdad gestiva il proprio Paese come un feudo personale, dava segni di squilibrio mentale e di fanatismo religioso. Dopo che Uday, il suo figlio maggiore, scampò per miracolo a un attentato, decise di riavvicinarsi alla fede islamica. Per due anni, sul finire degli anni Novanta, si sarebbe fatto prelevare ben ventisette litri di sangue. Ad assisterlo un infermiere di fiducia, Abbas Shakir Joody al-Baghdadi, che avrebbe avuto il compito di ricopiare con il sangue prelevato l’intero Corano.
Ma veniamo ora alla spinosa questione jugoslava. La distruzione dell’economia jugoslava fu causata dalle disastrose ricette stataliste e socialiste di Tito, che collettivizzò anche le terre e fece crollare la produzione agricola. Per decenni, l’unica economia efficiente fu il mercato nero. Il modello dell’autogestione, concetto nebuloso e utopico, fu solo una bandiera ideologica che servì al regime per presentarsi come alternativo sia al dirigismo sovietico che al capitalismo americano. Una favola ideologica che valse a Tito accuse di revisionismo.
Gli USA intervennero relativamente tardi nel teatro jugoslavo, nel quale i serbi si diedero alle peggiori atrocità: dagli stupri etnici alla schiavitù sessuale, dai massacri di civili ai campi di concentramento, fino alla distruzione del patrimonio artistico della Bosnia. Il Kosovo è un narcostato, problematico sotto diversi punti di vista, ma non in quanto “creazione americana”.
Gli USA sono al centro di una vera e propria demonologia contemporanea, che ne fa il centro del male in terra e presenta come luminosi salvatori i suoi nemici. Una potenza animata da diverse pulsioni, non deterministicamente riconducibili all’economia di mercato.
Davide Cavaliere