DALLA PARTE DELL’AMERICA – UN’APOLOGIA (di Davide Cavaliere)
Gli Stati Uniti d’America sono il Paese più criticato e meno compreso del pianeta. Vittime di una descrizione stereotipata a cui hanno contribuito in tanti: i fascisti, i comunisti e il cristianesimo sociale, soprattutto cattolico. Dalla fine del secondo conflitto mondiale, l’America è diventata oggetto della critica “antimperialista” e terzomondista, di matrice tanto rossa quanto nera.
Secondo questa visione, gli States sarebbero una nazione messianica, che ambisce ad americanizzare il mondo attraverso guerre, finanza e Mcdonald’s. A fondare questa tendenza, vi sarebbe il temuto “eccezionalismo americano”, che rende irrequiete le notti di tanti camerati e compagni. Per i neofascisti in particolare, l’America sarebbe l’epicentro del “globalismo”, parola fatata della quale ognuno può dare l’interpretazione che più lo aggrada.
Sia chiaro, l’eccezionalismo americano esiste, è indica una delle componenti dalla politica statunitense, esso si riferisce alla convinzione americana di essere il popolo eletto, destinato a irradiare la libertà nel mondo. Nelle parole di Herman Melville: “Noi americani siamo lo speciale popolo eletto, l’Israele del nostro tempo; noi portiamo l’arca delle libertà del mondo”.
Arthur Schlesinger, nel suo capolavoro intitolato I cicli della storia americana, oppone alla tradizione eccezionalista, chiamata “America come destino”, un secondo e non meno importante orientamento, che definisce “America come esperimento”. Quest’altra tendenza è realista e pragmatica, vicina al pessimismo antropologico del Padri Fondatori, che attraverso lo studio di Atene e Roma si erano convinti della caducità di ogni repubblica, compresa quella americana. Donde un “impellente senso della precarietà dell’esistenza nazionale”.
Il grande politologo statunitense Walter Russell Mead, in un testo intitolato Il serpente e la colomba. Storia della politica estera degli Stati Uniti d’America, individua ben quattro principali scuole di pensiero, identificabili con quattro padri nobili della storia americana: Alexander Hamilton, Thomas Jefferson, Andrew Jackson e Woodrow Wilson. Grossomodo, solo la scuola wilsoniana sarebbe riconducibile all’eccezionalismo, tutte le altre sono più prudenti, realiste e scettiche sull’impegno mondiale degli Usa.
Lo shock dell’attentato alle Torri Gemelle innescò una serie di eventi con cui facciamo ancora i conti oggi, spingendo l’amministrazione Bush a un interventismo deciso in Medio Oriente. Le guerre in Afghanistan e Iraq non furono ispirate tanto dall’eccezionalismo, fatto salvo per la bolsa retorica sui diritti umani, ma piuttosto per smantellare le reti del terrore jihadista e per togliere dalla scena l’ennesimo baffuto dittatore, che aveva scosso il mondo arabo con l’invasione del Kuwait. Il dissesto di quell’area geografica non è dovuto alle operazioni militari statunitensi, quanto al frettoloso ritiro dell’era obamiana e alla venefica influenza iraniana e turca. Ancor più assurda appare l’accusa mossa a Bill Clinton, che avrebbe “destabilizzato” la Jugoslavia, come se l’artificioso stato titino non si fosse devastato da solo a suon di odi etnici e fanatismi religiosi.
Anche la presenza di basi militari americane sul territorio italiano non è indicatrice di “imperialismo”. L’Italia, come altre nazioni europee meno la Francia, ha appaltato la propria difesa agli Stati Uniti, cosa che ha permesso agli alleati europei di dirottare il denaro destinato alla difesa verso le politiche sociali. La complessiva subordinazione post-bellica del Vecchio continente alle scelte americane non è il prodotto dell’imperialismo a stelle e strisce, ma di un continente che si è divorato con due guerre mondiale nello spazio di trent’anni. La storia non conosce vuoti e l’egemonia europea è stata rimpiazzata da quella americana.
Gli Stati Uniti d’America sono ostaggio di una serie di fraintendimenti ideologici, primo fra tutti l’appiattimento sull’atteggiamento messianico e l’accusa di imperialismo. Come ha fatto notare lo storico inglese Niall Ferguson, gli Usa sono un impero “de facto”, dato il loro potere politico, economico e militare, ma non si percepiscono come tale e per questa ragione non si assumono tutta la responsabilità che questa consapevolezza comporterebbe.
Davide Cavaliere
L’AUTORE
DAVIDE CAVALIERE è nato a Cuneo, nel 1995. Si è laureato all’Università di Torino. Scrive per le testate online “Caratteri Liberi” e “Corriere Israelitico”. Alcuni suoi interventi sono apparsi anche su “L’Informale” e “Italia-Israele Today”. È fondatore, con Matteo Fais, del giornale online “Il Detonatore”.