GIORGIO BOCCA: UN PROVINCIALE OPPORTUNISTA E CERCHIOBOTTISTA, INTERESSATO PIÙ ALLA CARRIERA CHE ALLA VERITÀ (di Davide Cavaliere)
Ho letto l’autobiografia di Giorgio Bocca per una ragione parrocchiale: nacque a Cuneo, come me, settantacinque anni prima. Nonostante il tempo trascorso, sette lustri, il titolo del suo memoriale rimane di un’attualità sconcertante: Il provinciale.
Chi, ancora oggi, nasce a Cuneo, non può che essere etichettato come tale, “provinciale”, perché la suddetta città è un’immensa provincia dell’Italia settentrionale. Sebbene disti solo un centinaio di chilometri dalle prime città francesi, il che ne farebbe se non una città di frontiera, almeno di confine, non ha la vivacità tipica dei centri urbani a cavallo di due mondi. La ragione è semplice: i due mondi non ci sono, c’è solo un’area geografica tra Francia e Italia, uno spazio in cui le due nazioni sono più simili di quanto si creda. Cuneo potrebbe essere una “ville” dell’entroterra provenzale e Chambéry un capoluogo di provincia italiano.
La città natale di Bocca e del sottoscritto è sempre stata una comparsa nelle vicende nazionali, figuriamoci di quelle internazionali, quando la storia arriva presso la confluenza dei corsi d’acqua Stura e Gesso (che le danno la conformazione che ne ha ispirato il nome), trova un luogo pronto ad accodarsi allo spirito del tempo: monarchica col Re, fascista con Mussolini, antisemita – Bocca prestò la propria fascistissima penna alla causa antiebraica -, partigiana durante la Resistenza, repubblicana al referendum, cattolica nel primo dopoguerra e così via.
La ragione di questa marginalità la si rintraccia nella scarsa, pressoché nulla, vocazione alla cosa pubblica dei suoi abitanti. Il cuneese è interessato, quasi esclusivamente, al denaro. Nel ricavare profitti sono molto bravi – dopotutto, è la provincia più ricca d’Italia, un’isola economicamente felice, nonostante le crisi che si sono susseguite. Neanche a dirlo, il buon Giorgio aveva un proverbiale attaccamento al denaro.
Bocca fu come la sua città, un uomo buono per tutte le stagioni, prima fascista premiato da Mussolini, poi capo partigiano, socialista sempre schierato col centrosinistra, ma negli Ottanta favorevole a Mani Pulite, nemico di Craxi, simpatizzante della Lega e, infine, antiberlusconiano con punte di velato antiamericanismo. Interessato più alla propria carriera che alla verità, sebbene, negli ultimi anni, si sia abbandonato a dire la sua sul fascismo, la resistenza, i meridionali e Pasolini. Sfoghi di un anziano al sicuro, oramai, protetto dall’età e dall’autorità.
A lui dobbiamo riconoscere il ruolo di apripista del revisionismo sul regime in camicia nera, necessario e doveroso dopo decenni di sdolcinata retorica socialcomunista. Nel centenario dalla nascita possiamo dire solo questo di buono. Il resto è unicamente opportunismo e cerchiobottismo.
Davide Cavaliere
L’AUTORE
DAVIDE CAVALIERE è nato a Cuneo, nel 1995. Si è laureato all’Università di Torino. Scrive per le testate online “Caratteri Liberi” e “Corriere Israelitico”. Alcuni suoi interventi sono apparsi anche su “L’Informale” e “Italia-Israele Today”. È fondatore, con Matteo Fais, del giornale online “Il Detonatore”.