L’EDITORIALE – SCRIVO DA UN’ISOLA GIÀ PRONTA PER UN NUOVO LOCKDOWN – PERICOLO CHIUSURA PER LA SARDEGNA (di Matteo Fais)
Solitamente, un’isola è il luogo ideale per ambientarci un’utopia. Da Tommaso Moro in poi è più o meno sempre stato così. Per esempio, la Sardegna è da tempo immemore una terra a parte, con sue regole e codici di comportamento. Il tutto è stato oramai quasi totalmente spazzato via dalla globalizzazione – ma questo è ancora un altro discorso.
Proprio in questi giorni, a seguito del terrorismo psicologico-mediatico senza precedenti, persino nei piccoli centri balneari, arieggiati e solcati da un dolce vento impetuoso – siamo conosciuti come “l’isola del vento” -, dalle 18 in poi, si sono viste frotte di persone mascherate camminare guardinghe, spaventate. La tensione è palpabile. Nessuno ti si approssima e se, disgraziatamente, ti siedi troppo vicino a qualcuno, in spiaggia, rischi di sentirlo gridare prontamente “IL DISTANZIAMENTO”. Un incubo!
È indiscrezione di ieri che ci sarebbe il rischio di un’ulteriore chiusura per la Sardegna, a seguito di 37 nuovi contagi. In un villaggio turistico, a Santo Stefano, dove si sono registrati alcuni casi, tutti gli occupanti e i dipendenti sono stati messi in quarantena – e non si sa fino a quando.
Devo dire la verità, me la sto facendo sotto. No, del Covid-19 non me ne frega un cazzo. Ho paura della chiusura e ho timore che, come a marzo, ci stiano gradualmente abituando alla cosa. La fine di agosto e con esso delle vacanze è probabile ci consegni la sorpresa più amara. Già mi vedo altri due-tre mesi chiuso in casa, peggio di un allettato o un vecchietto in agonia. No, non fa per me. Io sono vivo e voglio vivere. Voglio che la gente, dal Nord Italia, continui a venirmi a trovare. Ho donne da abbracciare, amici intimi con cui collaboro e che ancora non ho mai incontrato. Non ho tempo per la paura della morte. Tanto, un giorno, mi infileranno comunque in un loculo – io protesterò, come sempre, come ho fatto per qualsiasi cosa, ogni giorno della mia vita, anche se dubito che mi sentiranno.
Il fatto è che, adesso, senza l’imminenza della porta di casa sbarrata, rido e scherzo, ma sono incazzato come una iena. Vorrei incatenarmi di fronte a qualche palazzo del Potere, rivendicare il mio diritto a esistere nel pieno delle mie possibilità, prendere uno di questi rincoglioniti che preferiscono vivere da morti che morire da vivi e dirgli: “Ehi, bello, ma perché, invece di rompere le palle, non ti chiudi in casa, ti fai portare la spesa a domicilio, e la smetti di costringere tutti all’idiozia della tua paranoia? Ogni giorno muore gente di cancro, aids, infarto, eppure fumiamo, mangiamo e beviamo, ci chiaviamo l’impossibile”. Niente, sono sicuro che un tale rompipalle mi darebbe dell’irresponsabile e forse non avrebbe tutti i torti. Lo sono, sono irresponsabilmente innamorato della vita e delle emozioni, del mare e della spiaggia dove respiro a pieni polmoni. Pure soffrendo, a quasi quarant’anni, posso dire di aver fottuto la morte vivendo. Ho visto donne e follia, amici che un tempo non avrei mai immaginato di poter avere. Ho bevuto vino fino a cantare. Ho capito che la felicità è possibile ed è adesso. Vaffanculo tu e la tua vita da carcerato.
Intanto, per strada, noto che, diversamente da me, la gente risponde agli ordini, ligia come sempre a un potere assurdo e folle. Preparati dalla scuola a obbedire e accettare qualsiasi imposizione dall’alto, si piegano al primo segnale. Io non sono così. Invoco la resistenza della vita contro i moniti malauguranti dei morti. La Sardegna deve restare libera, spalancare le porte a ogni novello Ulisse (“L’un lito e l’altro vidi infin la Spagna,/ fin nel Morrocco, e l’isola de’ Sardi,/ e l’altre che quel mare intorno bagna”, dice Dante). Per il momento, comunque, i clandestini continuano ad arrivare e fuggire dai centri di accoglienza temporanea. Io sono sconcertato. In compenso, andrei pure a ballare in discoteca – dove non sono mai neppure passato – solo per farvi un dispetto.
Matteo Fais
L’AUTORE
MATTEO FAIS nasce a Cagliari, nel 1981. È scrittore e agitatore culturale, fondatore, insieme a Davide Cavaliere, di “Il Detonatore”. Ha scritto per varie testate (“Il Primato Nazionale”, “Pangea”, VVox Veneto”). Ha pubblicato i romanzi L’eccezionalità della regola e altre storie bastarde e Storia Minima, entrambi per la Robin Edizioni. Ha preso parte all’antologia L’occhio di vetro: Racconti del Realismo terminale uscita per Mursia. A settembre, sarà nelle librerie il suo nuovo romanzo, Le regole dell’estinzione, per Castelvecchi.
Condivido in parte perché anche se vorrebbero chiuderci come animali in gabbia, a noi spetta saper discernere, avere un pensiero che non sia campato in aria né suggerito da quelli del piano di sopra ma suffragato da dati certi. Il problema covid esiste ma esistono anche tante patologie mortali alle quali è stata tolta anche la già minima attenzione. Agire con intelligenza senza minimizzare né ingigantire le situazioni potrebbe essere la nostra salvezza fisica e intellettuale.
Sono così d’accordo con te che ho pensato anche io di incatenarmi. Senza mascherina così con con la caga che hanno neanche si avvicinano.
Sono sempre più deluso e depresso dalla deriva terro/rista/rizzante nella quale siamo finiti.
Ormai siamo prossimi a un nuovo lockdown generale. Merda. E pare ci sia chi esulta per questo.
Io di anni ne ho 42, sono Vesuviano e vivo all’Elba, dove ahimè si respira la stessa aria di terrore. Dentro di me il Fuoco del Vulcano e l’acqua del Tirreno, per un compenso che seppur fatico a gestire mi permette di continuare a vivere, in questo mondo di Morti Viventi che come affermi, dovrebbero silenziosamente lasciarsi decomporre nell’intimo delle proprie mura domestiche, lasciando agli altri lo Spazio e la Gioia di Vivere. Paura di morire mai, paura di avere paura si, questo mi spaventa.
Sarebbe come essere già morti.