Il Detonatore

Facciamo esplodere la banalità

ESSERE GERONIMO E NON ALCE NERO (di Maria Esposito)

La storia ci insegna che i popoli possono essere attaccati da nemici esterni, ma che senza la complicità, anche involontaria, dei nemici interni non è possibile annientarli. Sto parlando, a scanso di equivoci, dei disarmati mentalmente prima che fisicamente, dei fautori del dialogo ad ogni costo, anche quando il nemico di sta puntando (letteralmente) il coltello alla gola, o ti sta mettendo sotto un camion, ogni rifermento alla religione di pace ed amore è puramente voluto. Accade infatti talvolta che alcuni popoli, o per lo meno una buona parte di essi, si convinca di una cosa che non ha né capo né coda, ossia che i popoli disarmati o restii ad impugnare le armi possano prosperare. Stolti! i popoli disarmati sono sempre stati destinati, lungo tutto il corso della storia, a diventare popoli di schiavi o di morti. Se proprio non si vuole aprire un qualsiasi libro di storia, uno spunto interessante può essere la lettura del libro Alce Nero parla. Si tratta dell’intervista-biografia del capo Lakota Alce Nero da parte dell’americano George Neihardt. Scorrendo le pagina, intrise di spiritualità, del libro, si può udire levarsi, chiaro e distinto, il grido di dolore di un uomo che aveva sempre creduto nel dialogo e nei trattati, regolarmente violati dagli inglesi, un uomo di pace, ma non della pace vera, quella che si vis para bellum, ma di quella pace che è codardia, che è paura del conflitto, di quella pace che non è foriera di prosperità ma di morte o schiavitù. Quanto differente era invece Geronimo, fiero capo apache che resistette fino all’ultimo con un pugno di guerriglieri, ben consapevole che l’alternativa alla guerra non era un petaloso dialogo ma la riserva.
Chi sono i nostri Alce nero? Tutto il sinistrume, tutti quelli che stanno umani, tutti quelli che caldeggiano l’accoglienza del nemico, perché o non si rendono proprio conto che è il nemico o, nella loro follia, sono convinti che nutrendo il serpente esso ti farà la cortesia di non mangiarti, o per lo meno di mangiarti per ultimo. Si tratta ovviamente di un atteggiamento non solo profondamente codardo, ma anche perdente: il serpente è serpente, e continuare ad accudirlo e nutrirlo, anziché schiacciarlo, non avrà come risultato che quello di renderlo ogni giorno più forte.
Fino a quando, come a Santa Sofia, sguainerà la spada di guerra. Che non si dia però la colpa al nemico, che fa per l’appunto il nemico, come non la si deve dare al serpente, che fa per l’appunto il serpente: la damnatio memoriae deve infatti ricadere su chi, per imbecillità o codardia, si è sottratto alla lotta. E finché siamo in tempo, dovremmo intercettarli e neutralizzarli. Sono loro il nostro primo nemico.

MARIA ESPOSITO

Un commento su “ESSERE GERONIMO E NON ALCE NERO (di Maria Esposito)

  1. Oggi ero in un centro commerciale. Al bar, mi sono accorto che ero circondato da almeno 20 musulmani. 4 adulti, 4 donne intabarrate, 12 ragazzi. Erano felici, tronfi della libertà di cui godevano, del futuro da padroni che li aspetta. Non potremo fare più niente ormai per fermarli. Credo che l’unica possibilità che abbiamo, sia quella di creare delle zone libere, le “riserve indiane”. È il massimo che potremo fare.

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