L’EDITORIALE – SIAMO TUTTI UOMINI MESTRUATI, ORAMAI DISSANGUATI – ELEGIA DEL MASCHIO AGLI SGOCCIOLI (di Matteo Fais)
Ogni giorno, sanguino. I miei occhi leggono notizie su notizie che li fanno piangere lacrime di sangue, li incupiscono, colorano le iridi di nera disperazione. No, non è sconforto leggendo la nuova pubblicità della Lines sull’identità di genere, o il famoso commento in cui la stessa casa di produzione di assorbenti dice che i suoi prodotti sono a disposizione di chiunque ne abbia bisogno, quindi anche degli uomini – perché il Capitale non guarda in faccia nessuno, per accrescere sé stesso, e si adatta senza grandi traumi al mutare dei costumi e delle contingenze.
No, io piango perché questa situazione è più grande di me, irreversibilmente e inarrestabile. Finirò i miei giorni in un mondo terrificante che non mi apparterrà più da nessun punto di vista: emotivo, sentimentale, antropologico, musicale, letterario. Niente sarà risparmiato. Già adesso è così. Sono un uomo morto che cammina. A meno di quarant’anni, mi rendo conto che tutto il mio universo valoriale, ciò su cui ho fondato me stesso, è divenuto ridicolmente vetusto, sorpassato, un retaggio fuori tempo massimo. Ho più energia di un ventenne, ma è inutile, sterile.
Tra vent’anni, quando avrò sessant’anni, la gente si accoppierà con fantascientifiche tute elettrostimolanti, tutti circoleranno con una mascherina e il mondo sarà igienicamente perfetto. Ovviamente, non esisteranno più maschi e femmine, o quantomeno sarà possibile avere il cazzo e sentirsi come dotati di fregna. Sono anche certo che con due pastiglie e una ricetta bianca, in massimo un mese, si potrà passare dall’avere le tette al farle scomparire. E ogni Cristo scenderà dalla Croce per diventare Maria e risparmiarsi il Calvario. Sarà tre volte Natale, perché ci sarà quello dei cattolici sempre più progressisti, dei musulmani ancora con la bomba in testa, e dei cinesi che frattanto saranno anche gli unici ad avere un negozio aperto. I preti sicuramente potranno sposarsi e faranno i porno. Sarà un Papa Francesco ibernato, che celebrerà messa a mezzo di un ologramma, a dirlo, aggiungendo “chi sono io per giudicare troie e attori di film per adulti, figli nati dal culo e il nuovo singolo di Young Signorino”.
Sono sicuro che andrà così, o giù di lì. E sono ancora più sicuro che, come disse Michel Houellebecq in una sua vecchia intervista, sia impossibile “riportare indietro le lancette della Storia”. Ci vorrebbe troppa consapevolezza nelle masse, voglia di partecipare, e non c’è, invece, neppure l’ombra di questa. Altrimenti, la Lines verrebbe rasa al suolo oggi stesso, o, probabilmente, non sarebbe mai neppure esistita – non che la colpa sia loro, parliamoci chiaro, anche perché se non dicessero quello che dicono chiuderebbero nel giro di tre giorni.
Certo, mi resta questa assurda rivolta esistenziale, l’ostinazione di chi ogni giorno si arroga il dovere di spiegare alle masse ciò che nessuno gli ha chiesto. Io lo faccio, ma sapendo che è tutto inutile. Nessuno capirà, se non chi già aveva capito e che comunque ci sarebbe arrivato autonomamente. Il popolo non potrà mai fare la Storia e io non sono nato per essere il loro duce.
Del resto, non so neppure se riuscirei a tornare al mondo che fu, oramai. Quell’orizzonte di crudezza e forza virile, forse, non appartiene più neanche a me. Troppo ingentilito e femminilizzato. A quei tempi, ogni cosa era così brutalmente semplice. La complicazione e l’emergere di particolarismi rende sempre meno netti i confini. Dei miei amici, nessuno è virile nel modo in cui lo è mio padre, nato durante la guerra. Tutti, chi più chi meno, per quanto non omosessuali, sono mestruati, ridotti al fantasma della virilità. C’è persino chi non gli si rizza se non in particolari situazioni, perché troppo timido, fragile. Molti hanno tre attacchi di panico al giorno e si strafanno di psicofarmaci. Eppure, non siamo venuti su sotto i bombardamenti, non abbiamo patito la fame. La maggior parte non ha neppure fatto il militare. Per chiudere il quadro, praticamente nessuno ha una famiglia. Siamo solo uomini del nostro tempo, un branco di senza palle, ormai dissanguati e agli sgoccioli, che soffre come una bambina di dieci anni. Non avremmo neppure i coglioni per morire, per affrontare il dolore da maschi, come Hemingway, girando il fucile dalla parte giusta, senza stare sempre qui a lamentarci. Semplicemente, premendo il grilletto.
Matteo Fais