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IPOCRISIA ANIMALISTA – VITA E MORTE DEGLI ANIMALI IN OCCIDENTE E NELLE SOCIETÀ ISLAMICHE (di Davide Cavaliere)

Da giovedì 30 luglio a lunedì 3 agosto, i musulmani di tutto il mondo festeggeranno Id al-adha, ovvero la “festa del sacrificio“. Come ogni anno verranno uccisi decine di milioni di capi di bestiame, sgozzati senza stordimento per ricordare il montone sacrificato al posto di Isacco (Ismaele, per l’islam). Non solo montoni, anche pecore, capre, bovini e dromedari possono essere sacrificati. Dopo il taglio della gola, il sangue dev’essere fatto defluire dalla giugulare, lentamente. 

Tale mattanza, barbara e incivile, suscita sempre vivaci proteste fra quanti sono consumatori di carne. Si tratta di una ipocrisia sentimentale e irrazionale. Le ragioni per proibire la festa del sacrificio sono di natura politica e non etica. Gli immigrati islamici praticano le uccisioni in aperta violazione delle leggi locali, spesso occupando il suolo pubblico e con lo scopo di imporre il dominio attraverso l’esercizio delle loro usanze. Macellare animali per strada durante una festa religiosa, così come pregare nei luoghi pubblici e indossare solo abiti tradizionali, è un modo per islamizzare il territorio e prenderne possesso. Se gli occidentali non vogliono essere considerati “dhimmi”, ovvero “sottomessi”, devono proibire ogni ostentazione di zelo religioso e occupazione simbolica dello spazio urbano. 

Detto ciò, l’indignazione animalista a corrente alternata è davvero insopportabile. Quanti si stracciano le vesti per i cani mangiati in Cina o per le bestie sgozzate dai figli di Allah e tacciono sulle miserevoli condizioni in cui versano gli animali negli allevamenti italiani (occidentali in genere), tocca vette di inusitata ipocrisia. L’Occidente ha tecnicizzato, meccanizzato e occultato la vita e la morte di milioni di animali ogni anno. Henry Ford mutuò l’idea della catena di montaggio osservando i macelli di Chicago, dove squadre di uomini smontavano in serie centinaia di mucche e maiali al giorno

Negli allevamenti, prima di affrontare un terribile viaggio verso il mattatoio dove saranno uccisi in modo approssimativo, gli animali vivranno una vita breve e infame. Un’esistenza senza luce solare né aria aperta, sovralimentati e imbottiti di antibiotici per scongiurare le infezioni che si sviluppano in quel crogiolo di batteri che sono gli allevamenti. Più volte, organizzazioni come LAV e Animal Equality hanno documentato le drammatiche condizioni dell’allevamento, la brutalità delle operazioni di carico sui camion e lo shock dello stordimento, spesso non eseguito correttamente, e l’animale che giunge cosciente alla fase dell’uccisione. Le bestie, a volte, a causa del peso anomalo e dell’atrofia degli arti dovuta all’immobilità, non sono in grado di muoversi, allora vengono trascinati, pungolati, picchiati con tubi di metallo e colpiti in zone sensibili come occhi, naso e mammelle. Basti pensare al caso del Miac di Cuneo. Per non parlare delle sommarie operazioni di castrazione e debeccamento. Tutto questo è più civile della macellazione rituale islamica? Gli animali non conoscono benessere in nessuna latitudine né cultura

Il consumo di carne di cane è, davvero, più grave di quello di carne di cavallo o di maiale, uno degli animali più intelligenti e sensibili del pianeta? Ovviamente no, quello dello cinofagia è un tabù privo di fondamento razionale. Lo sanno bene gli statunitensi, che permettono il consumo di carne di cane in ben quarantaquattro stati su cinquanta. Ippocrate lodò la carne di cane e i romani non disdegnavano i cuccioli. Alcuni indiani d’America, oggi assurti al ruolo di ecologisti ante litteram, erano ghiotti di fegato di cane. Come fa notare lo scrittore Jonathan Safran Foer: “Se permettessimo ai cani di fare i cani e di figliare senza interferenze, creeremo una provvista di carne locale e sostenibile con una bassa spesa energetica da far vergognare anche l’allevamento brado più efficiente”. Anche i gatti potrebbero avere la medesima utilità.

Insomma, lo sdegno per le abitudini alimentari di cinesi e musulmani è ingiustificato. Le possibilità sono solo due: smettere di mangiare carne o cessare ogni protesta emotiva e piagnona contro la festa del sacrificio e lo stufato di cane. Quando, ossevando la mattanza islamica, vi credete superiori e più civili, pensate a queste parole di Guido Ceronetti: “Dicono di avere abolito i sacrifici animali! Soltanto il rito hanno abolito: li sterminano ininterrottamente, illimitatamente, senza bisogno: il sacerdote si è fatto industria”.

                                   Davide Cavaliere 

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