L’EDITORIALE – NON POSSIAMO NON DIRCI CRISTIANI, SE VOGLIAMO DIFENDERE L’OCCIDENTE (di Davide Cavaliere)
Interi settori della destra si compiacciono della fine del cristianesimo, in Europa. Neofascisti e neopagani hanno sempre visto nella fede cristiana un elemento allogeno e “orientale”, nemico della religiosità pagana legata alla natura e ai cicli della terra. Si tratta, neanche a dirlo, di una semplificazione grossolana della storia.
Il cristianesimo nasce legato, indissolubilmente, all’ebraismo, del quale rappresenterebbe il compimento. I cristiani sarebbero il “Nuovo Israele”, ma il messaggio evangelico non è estraneo alla filosofia e all’interrogarsi greco. Come ha avuto il merito di affermare Joseph Ratzinger, nel celebre discorso di Ratisbona: “Il Nuovo Testamento, infatti, e stato scritto in lingua greca e porta in sé stesso il contatto con lo spirito greco – un contatto che era maturato nello sviluppo precedente dell’Antico Testamento”. Giovanni ha iniziato il prologo del suo Vangelo con le parole: “In principio era il Lógos”, manifestando una stretta vicinanza col pensiero greco. È sempre il Papa emerito a evocare la pericope degli Atti degli Apostoli nella quale lo Spirito Santo vieta a Paolo di predicare in Asia, impedendogli di raggiungere la Bitinia (attuale Turchia), e spingendolo a trasferire la buona novella in Europa: “Passa in Macedonia e aiutaci!”. La visione Paolina condensa la necessità di un avvicinamento tra il Dio dei filosofi e il Dio della fede. È difficile sostenere la tesi del Dio biblico che scalza le religioni pagane, al momento dell’arrivo del cristianesimo in Europa, il mondo antico si era da tempo incamminato verso filosofie scettiche come l’epicureismo e lo stoicismo. I filosofi greci scalzarono le superstizioni idolatriche e indicarono un principio divino supremo. In testa a tutti Platone e poi Aristotele. Il cristianesimo, dunque, non è estraneo alla sensibilità di Atene. Tale vicinanza non sfuggì nemmeno a S. de Madariaga, che definì l’Europa “socratica nella sua mente e cristiana nella sua volontà”.
Un’altra accusa mossa alla civiltà cristiana riguarda il suo rapporto con la natura e il mondo animale. Secondo i suoi critici, il Dio della Bibbia avrebbe autorizzato l’uomo a dominare e sfruttare il mondo naturale. Senza addentrarci nell’analisi filologica della parola “dominio”, il mondo pagano e precristiano non viveva in armonia con la natura. Come attestano numerosi dipinti, i romani trasportavano centinaia di animali dalle zone più remote dell’impero, affinché lottassero coi gladiatori nelle arene. Greci e romani sfruttavano intensamente le risorse naturali a loro disposizione. L’Isola d’Elba era chiamata “Aithalìa” dai greci e “Ilva” dai romani, in riferimento alla grande quantità di fuliggine prodotta dalle fornaci che servivano a fondere i metalli. Il cristianesimo non ha spezzato alcun rapporto armonico tra uomo e natura.
Si rimprovera, altrettanto spesso, al cristianesimo di aver portato in Europa l’odio ebraico per il corpo e la materia. Gli antichi greci, soprattutto platonici e neoplatonici, vedevano nel corpo una prigione per l’anima. Il filosofo Plotino arrossiva di avere un corpo. L’idea ebraica di un Dio che entra nella storia e quella cristiana di una divinità che si fa carne appariva barbara ai greci, abituati a pensare Dio come qualcosa di incorrotto e indifferente.
Quando si sottrae la colonna di Gerusalemme dall’architrave della civiltà occidentale, la colonna ateniese diventa traballante. Persa la convinzione che Dio abbia impresso qualcosa della sua “razionalità”, la ragione inizia a dubitare della propria capacità di arrivare alla verità sul mondo. Come ha detto Chantal Delsol, l’essenza del paganesimo corrisponde proprio in questo abbandono della verità in favore della ricerca della “saggezza”.
L’attacco che viene dall’estrema destra al cristianesimo è il rigurgito di una cultura tribale, presimbolica e alogica. Dietro al rigetto dell’eredità giudaico-cristiana si nasconde la destra poujadista e reazionaria, quella che voleva la testa dell’ebreo Dreyfus. La destra stantia che si appella alle «enfatiche cazziate» sugli ebrei «popolo metafisico per eccellenza», del nazista Heidegger. La destra che ricicla i luoghi comuni dei no global, che mescola Nietzsche e Pound, la destra innamorata dell’Islam virile conquistatore come Adolf Hitler, Sigrid Hunke e il «protettore dell’Islam» Benito Mussolini. La destra talebana e antimoderna, che sogna un mondo senza moneta, numeri, scienza e arti corruttrici dei costumi, che ribolle leggendo i mistici da film fantasy Evola e Guénon. La destra che vorrebbe il ritorno del sacro, della tribù, delle aristocrazie guerriere e delle caste, che vuole far discendere le nebbie nibelungiche sul mondo moderno e condannare l’oro sulla base del sangue. Utili idioti dell’espansionismo musulmano.
Il giorno in cui le radici giudaico-cristiane saranno totalmente screditate e, con esse, la ragione ateniese e il diritto romano, il mondo non si riempirà di pagani festosi e dionisiaci, ma di fondamentalisti islamici decisi a imporre la Sharia.
Davide Cavaliere