Il Detonatore

Facciamo esplodere la banalità

UCCIDERE IL MARITO (di Franco Marino)

Una moglie andò dal dottore e questi arrivò presto ad una diagnosi: “Signora, Lei ha un’ulcera gastroduodenale, ha attacchi di panico e li alterna con la depressione. Ogni farmaco sarebbe inutile e l’unica cosa che potrei fare è prescriverle degli antidolorifici. Lei ha un’unica possibilità di guarigione. Rimuovere la causa di tutti questi problemi”. “Ha ragione dottore. Ma se ammazzassi mio marito, finirei in galera”.
Non sempre la diagnosi presuppone la cura. E questo è il problema dell’Italia. Quando Conte spiega i suoi programmi per il rilancio del Belpaese, non cerco di saperne di più perchè è da quando sono in vita – l’anno prossimo sono quarant’anni – che vengo alluvionato da parole come “riforme” e “rilanci”. E questa insofferenza, dal momento che non è esclusiva della mia insignificante persona, meriterebbe una spiegazione.
Di un problema si dice che è senza soluzione quando è posto di fronte ad un’impossibilità oggettiva. Il congiunto che veda il suo caro spegnersi per una demenza senile, per esempio, e cercasse di guarirlo, rivederlo al massimo delle sue funzioni cognitive, sbatterebbe contro un’obiettiva impossibilità. Ma sbattono contro un muro anche coloro che, al loro problema, sono più affezionati di quanto dicano. Gli obesi che imperterriti si ingozzano, gli alcolisti e i drogati, non sono in questo caso vittime di un’impossibilità obiettiva perchè sanno benissimo qual è il loro male, sanno benissimo qual è la soluzione, ma sono troppo attaccati ai dolci, al whisky o alla polverina per uscirsene. È dunque inutile offrire all’obeso un programma dietetico diverso, come lo è offrire all’alcolista e al drogato aranciate e caffè. Ed è fiato sprecato persino parlare a costoro di morte, brutalmente. Perché sapendo loro per primi cosa rischiano, già di per sè si disprezzano per il fatto che non sanno reagire. Ma da questo disprezzo ricavano soltanto la convinzione di meritare la morte e dunque, prima di morire, almeno un’altra pizza, un altro bicchiere, un’altra dose.
Il problema dell’Italia risiede in una totale concordia fra popolo e politici su una serie di errori logici così marchiani da essere persino contenuti nella Costituzione, definita più volte da qualcuno “la più bella costituzione del mondo”, intoccabile (sebbene l’art.138 preveda che, a condizioni di un certo tipo si possa toccarla eccome) insomma, un documento contenente verità rivelate dall’alto da una figura metà Scalfari, metà Travaglio.
“La più bella costituzione del mondo” ci ha regalato un modello socio-economico devastante fondato sul collettivismo statalista più spinto. Una giustizia priva di ogni controllo. La presunzione più sciocca che banale che la politica sia il male e per fortuna che esistono magistrati e giornalisti che invece sono sempre e solo gli opliti del bene. Insomma, una sorta di feticismo istituzionale che porta gli italiani a credere hegelianamente (e dunque marxisticamente) che lo Stato sia il bene e il privato sia il male. La tesi del resto è teoricamente imparabile: mentre il privato agisce sempre per interesse personale e per fini di lucro, lo Stato, essendo un’astrazione, ed anzi l’incarnazione del Bene, della Collettività stessa, è disinteressato e dunque morale.
L’abbiamo visto recentemente, in occasione della pandemia. Erano necessarie delle mascherine perché l’Italia non aveva mai pensato di poterne avere bisogno in tale quantità. Così si è deciso di importarle ma, non essendo perfettamente in regola con le nostre mille leggi, lo Stato – sempre incarnazione del Bene Assoluto – invece di contentarsi di ciò che c’era, le ha sequestrate. Magari, dopo averle sequestrate, avrebbe potuto distribuirle gratuitamente, sempre meglio di niente, ma no: il Bene Assoluto è intransigente. Finché uno più sveglio degli altri ha trovato la soluzione: ha obbligato le farmacie a venderle a cinquanta centesimi l’una, col risultato che il provvedimento, invece di fornire a tutti delle mascherine a basso prezzo, ha fatto sparire anche quelle più care. Ma si è sbarrata la via al profitto, agli sciacalli che volevano lucrare sull’epidemia e sulla paura della gente e il Bene ha vinto, ancora una volta. Per poi, ovviamente, fare inevitabilmente marcia indietro, senza pentimenti. Chi potrebbe dubitare dello sforzo in favore del popolo da parte di chi impone un calmiere a un bene di primissima necessità?


E non solo.
In magistratura stiamo assistendo ai primi vagiti di quello che potrebbe essere uno scandalo ben più grande: ohibò, si scopre che la magistratura ha al suo interno gente politicamente schierata, che si attiva per disarcionare il leader politico del momento. Che sia Berlusconi, Renzi o Salvini. Che esistano insomma magistrati corrotti. E noi gonzi che pensavamo che, nell’affaire Mondadori, Berlusconi avesse trovato l’unico magistrato corrotto della storia repubblicana. Come esclamava Ezio Greggio in una sua gag, “Twin Peaks!!”.
Ma niente da fare. Nessuno riesce a schiodare dal proprio cervello che l’unico compito di un magistrato è quello di applicare la legge, fosse anche la più ingiusta e che non è minimamente previsto in nessun ordinamento di questo mondo la figura del magistrato eroe, proteso a realizzare un ipotetico Bene Assoluto, mantenendo il paese in ostaggio di una eterna palingenesi morale e sociale.


Per non parlare delle continue leggi di cui si richiede l’approvazione. Decreti legge contro l’omofobia, quando basterebbe applicare, al limite inasprendo le pene, quelle per esempio relative all’ingiuria e alla diffamazione, ma senza esagerare con idiozie come sequestrare case, galere per un insulto, che poi si corre il rischio di trasformare un intento nobile in una deriva censoria.
Tutto questo è comunque indicativo della mentalità italiana: quando c’è un problema, la soluzione per noi consiste in una nuova legge e poco importa che ne abbiamo decine, forse centinaia di migliaia e che non concludano niente, come constatiamo ogni giorno. Esiste la corruzione negli appalti pubblici e si dimentica (per asineria) che la corruzione nasce con l’uomo, che nelle grandi civiltà del passato era la norma, che senza di essa, per esempio, non avremmo tantissimi monumenti e opere d’arte, che politici come Cicerone non si difendevano dalle accuse di corruzione dicendo “Non ho mai corrotto nessuno” bensì “ho corrotto meno degli altri”.


Così che facciamo? Vendiamo la truffa che sia possibile impedire che un disonesto faccia la cresta sul denaro pubblico, rispettando ogni norma giuridica, tecnica e morale, cosa che non potendone essere mai sicuri, comporta il blocco eterno di ogni lavoro, nell’attesa di sapere se Fidia ha approfittato o meno dell’avorio e dell’oro necessari per erigere la statua di Giove nel Partenone.
La gente ovviamente, sempre propensa a lamentarsi dei lavori pubblici sospesi, tuttavia non tollera che il lavoro sia portato a termine e funzioni se il prezzo da pagare è quello di vedere il costruttore che si fa la villa con piscina o va in Sardegna col suo yacht.
In Italia chiunque tenti di arricchirsi è il nemico pubblico numero uno e un intero Paese di invidiosi alla prosperità della nazione, seppure tollerando che alcuni siano più ricchi degli altri, preferisce la povertà generale nell’uguaglianza, tanto che Montanelli a tal proposito scrisse che quando un italiano vede un suo connazionale in Ferrari, non pensa a come fare i soldi per comprarsene una ma a come bucargli le gomme. E così si torna al discorso del drogato, del tossico e dell’alcolista. Come diceva la buonanima di Muccioli, non basta riempire di metadone il tossico se non si interviene sulle cause che lo hanno portato a drogarsi, se non si agisce sulla sua consapevolezza.
Che poi questo significhi uccidere il marito, naturalmente nessuno se lo augura.
Tranne le aspiranti uxoricide, si capisce.

FRANCO MARINO

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