L’AUTOFLAGELLAZIONE DELL’UOMO BIANCO
L’uomo bianco, quello celebrato dal suddito di sua maestà Rudyard Kipling nel celebre The White Man’s Burden, è il nemico numero uno del mondo moderno. La sua colpa? Aver sfruttato quei popoli neri «riottosi, metà demoni e metà bambini» e aver dominato «su gente inquieta e selvaggia». Il fardello della civilizzazione si è trasformato in un peccato metafisico e metastorico, la cui punizione ricade sulle teste dei bianchi del presente.
All’origine di questa avversione verso gli occidentali e la loro civiltà, ostilità in grado di generare «uomini che odiano l’aria che respirano senza averne mai conosciuta un’altra» come scriveva lo storico François Furet, vi è il marxismo culturale. La sociologia neomarxista ricalibrò il «conflitto», non più tra classi ma fra oppressi e oppressori. Il proletariato, ormai «imborghesito», venne rimpiazzato con le minoranze (donne, neri, immigrati, gay) e con i «dannati della terra». Ri-nacque il mito del buon selvaggio, di un mondo innocente e felice distrutto dall’avidità dei bianchi europei. Ogni discorso sul Terzo Mondo, da allora, comincia e si conclude con questo leitmotiv: l’uomo bianco è malvagio, se vuole redimersi deve scomparire.
Per gli aedi del riscatto dei non-europei, i bianchi non sono coloro i cui imperativi erano «riempi la bocca della carestia» e «fa’ cessare la malattia», ma gli sfruttatori e gli untori di un paradiso in terra. L’ideologia antirazzista racconta un mondo extra-europeo colorato come un dipinto dei Fauves e, in seguito, devastato dalla «peste bianca». Niente di più falso.
Influenzati da questa micidiale mescolanza di marxismo e terzomondismo, gli intellettuali e gli attivisti politici hanno edificato una gioiosa fabbrica di sensi di colpa. Tutta la cultura europea, da Omero alla Bibbia, da Platone a Dante fino Hegel avrebbe come inevitabile approdo l’imperialismo, il consumismo, lo sfruttamento capitalista e il genocidio. L’uomo bianco europeo e la sua cultura sarebbero intrinsecamente colonialisti e razzisti. Non a caso, durante il Sessantotto, nei campus americani si scandivano i seguenti slogan: «from Plato to NATO» e «hey, hey, ho, ho, Western Culture has got to go».
La civiltà occidentale deve cadere. Le soluzioni al problema dei «bianchi» e della loro egemonia sono diverse e mirano tutte allo stesso scopo: ridimensionare la cultura occidentale fino a cancellarla e diluire i «caucasici» in un melting-pot planetario fino alla loro scomparsa. Far dimenticare agli occidentali i primati artistici, scientifici, filosofici, politici della loro civiltà, rendendola una fra le tante. Una sinfonia di Bach e una musica tribale africana messe sullo stesso piano.
Pascal Bruckner, nel suo capolavoro, Il singhiozzo dell’uomo bianco, ha raccontato come l’Occidente, attraverso la metabolizzazione della «narrazione» della colpa, abbia istituito al proprio interno un tribunale perenne il cui scopo è quello dell’autoflagellazione e della riparazione dei torti coloniali.
La colpa è un virus che si annida ovunque, in tutte le creazioni dell’uomo bianco. Bisogna, dunque, abbattere, «decostruire», livellare, cancellare, spianare e censurare. Chi non ha saputo dar forma a nulla, ora abbatte in nome di una presunta superiorità morale. Kipling lo aveva già previsto:
«Il biasimo di coloro che fai progredire,
L’odio di coloro su cui vigili –
Il pianto delle moltitudini che indirizzi
(Ah, lentamente!) verso la luce:
“Perché ci ha strappato alla schiavitù,
La nostra dolce notte Egiziana?”»
Davide Cavaliere