L’EDITORIALE – CANI, GATTI, PIPISTRELLI, CANNIBALI E ALTRE PROVE DI “INTEGRAZIONE” GASTRONOMICA
Un “diversamente italiano” ha prima ucciso e poi arrostito per strada un gatto, su un falò improvvisato con alcune assi di legno. In un video girato con un telefonino, lo si osserva mentre maneggia la carcassa rigida e abbrustolita del felino. In seguito, si è giustificato affermando di non avere soldi per comprarsi da mangiare.
Scusa molto debole, visto che bastano pochi euro per acquistare un tramezzino in un discount e, rivolgersi alla Caritas o ad altri enti assistenziali, è totalmente gratuito. La vicenda riporta alla mente un caso analogo avvenuto a Torino due anni fa, al mercato di Porta Palazzo, dove alcuni nigeriani furono sorpresi a vendere nutrie e ratti arrosto. Le carcasse annerite dei roditori giacevano dentro scatoloni, in attesa degli acquirenti. Storie di ordinaria immigrazione e multiculturalismo gastronomico.
Qualcuno obietterà che anche i nostri nonni mangiarono topi e gatti. Fatto indubbio, che però avveniva nel contesto della guerra, della trincea e delle città ridotte in macerie. Gli italiani di cento anni fa non avevano, davvero, altre possibilità per sfamarsi, se non quella di cucinare certi animali, avendo cura di spellarli prima della cottura. I suddetti, invece, volevano volontariamente mangiarsi gatti, nutrie e ratti. Inutile girarci intorno e tentar di trovare scuse, che sarebbero capziose e fallaci.
L’Africa assomiglia alla Cina: tutto ciò che cammina, striscia, nuota e vola viene messo nel piatto. Nel Continente Nero esiste un florido mercato di carne selvatica, anche di specie a rischio zoonotico. Gorilla e scimpanzé sono piatti prelibati, il cui consumo sta aumentando anche in Europa, per via della presenza degli immigrati che la importano illegalmente. Alcune grosse partite di carne di scimmia sono state sequestrate in Belgio.
Non solo in Asia, anche in Africa si consuma carne di cane. In genere, è sporadico e legato a talune tribù, a eccezione di Nigeria e Namibia, dove viene praticato l’allevamento intensivo di cani per il consumo umano. Leggenda vuole che la carne canina migliori, se la bestia muore di morte violenta. Quindi, vengono uccisi sbattendoli con forza o impiccandoli. Più in generale, l’Africa si sta svuotando dei suoi animali, perché vengono, tutti, cacciati e digeriti.
Anche il cannibalismo è ancora, ampiamente, diffuso, soprattutto in Congo, Uganda e Liberia. Qualcuno ricorderà il dittatore ugandese Idi Amin Dada e quello della Repubblica Centro Africana, Jean-Bédel Bokassa, che tenevano fettine di cuore di suora missionaria nel congelatore. In Kenya, è diffuso il cannibalismo rituale. Ma, il primo premio per l’antropofagia spetta alla Repubblica Democratica del Congo, dove i pigmei Mbuti, attraverso il loro portavoce, Sinafasi Makelo, hanno denunciato alla Nazioni Unite che i ribelli congolesi della provincia di Ituri si cibano dei loro compagni, divorandoli vivi.
Per chi proviene da luoghi simili, cosa può rappresentare un gatto o una simpatica nutria col pelo bagnato? Le abitudini alimentari sono un ottimo indicatore per l’incompatibilità dei popoli e delle culture, a meno che non si voglia accettare il consumo di carne di gatto, o il cannibalismo, anche in Italia.
La sinistra, oggi, si trova a un bivio: accettare anche le più aberranti condotte alimentari in nome della «diversità», o imporre un menù agli immigrati esercitando una esecrabile «violenza colonialista».
Attendiamo curiosi. Intanto, evitiamo di far scorrazzare il nostro cane davanti a un centro d’accoglienza.
Davide Cavaliere
Difendiamo i nostri valori culinari, simboli di chiaro genio e bellezza. D’altronde non sono essi ad elevarci sopra USA, Canada, Francia e tutto il resto del mondo?
Una nuova dittatura culinaria è sempre più necessaria. Non si parla di gusto ma di bontà d’animo.
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