IDEOLOGIE CONTRONATURA: IL MULTICULTURALISMO
Dall’America alla Francia, dal Sudafrica alla Svezia, il multiculturalismo sta collassando. Le società che hanno affastellato etnie e culture diverse nei loro quartieri stanno implodendo.
Gli scontri razziali e religiosi dilagano, non solo i canonici neri contro bianchi e musulmani contro infedeli cristiani ed ebrei, ora assistiamo a gruppi di immigrati che si scannano fra loro, come avviene a Digione.
Il modello multiculturale rifiuta l’assimilazione culturale degli immigrati in nome del «diritto alla differenza» e genera un tribalismo urbano violento e settario. Nella già citata Digione, per questioni legate allo spaccio, la locale comunità cecena ha dichiarato guerra ai nordafricani e, da quattro giorni, centinaia di uomini armati di coltelli e mazze si affrontano per le strade. La situazione non migliora nelle banlieue parigine o a Malmö, in Svezia, dove interi quartieri sono diventati zone franche in cui vige la Sharia, la legge islamica.
Tutto questo non sorprende chi ama la storia e la studia con sano cinismo. Non sono mai esistite società multietniche e multiculturali che non fossero una santabarbara pronta a esplodere, dall’Impero Austro-Ungarico alla Jugoslavia post-Tito. La convivenza forzata fra blocchi etno-culturali non è possibile.
Non solo la storia che i progressisti ignorano, ma anche l’antropologia e l’etologia sferrano colpi di maglio al multiculturalismo astratto e libresco.
La prima disciplina insegna che i gruppi umani prendono possesso di un territorio e, in relazione a quest’ultimo, danno forma a una cultura unica, che costituisce quella che Abram Kardiner chiama «personalità di base», ovvero quei tratti della condotta che sono comuni a tutti gli individui appartenenti a una medesima società.
La seconda scienza, l’etologia, ci informa dell’esistenza di un «imperativo territoriale»: ogni comunità abita uno specifico luogo e quest’ultimo possiede una soglia di accettazione dello straniero, del «diverso». Negli esseri umani questa soglia è piuttosto elastica, ma non è dilatabile all’infinito. Esiste un punto di rottura, un momento in cui la naturale aggressività si manifesta in una difesa dall’intrusione concorrenziale di altri individui della medesima o differente specie. È una legge di natura. Il padre dell’etologia, il premio Nobel Konrad Lorenz si accorse che l’aggressività animale cresce in modo direttamente proporzionale alla vicinanza con la sua tana o «casa».
L’essere umano è un animale territoriale, in cui alberga un atavismo che lo spinge alla difesa del territorio, della comunità, della casa che sente e che è «sua». Trattasi di un impulso biologico, iscritto nel nostro genoma, come afferma l’antropologo Robert Ardrey. Opporsi all’invasione del proprio spazio è un istinto primordiale, così come la volontà di conquistare quello altrui per avvantaggiare il proprio gruppo.
Dopotutto, gli esseri umani fanno le guerre per appropriarsi di un nuovo territorio, o per difendere quello che già hanno, e le armi umane servono a questo scopo, come la corazza dell’armadillo o il veleno del serpente. Gli immigrati tentano di prendere possesso della zona che li ospita, di farla propria plasmandola secondo la loro cultura, religione ed estetica. Le strade e quartieri cambiano connotati e diventano estranei agli autoctoni: vie attraversate da individui con abbigliamenti estranei (chador, turbanti, djellaba), negozi etnici, scritte incomprensibili, melodie orientali che giungono da finestre e telefonini.
Questa situazione genera spaesamento nei nativi suscita in loro il timore, fondato, di perdere il proprio «habitat» geografico, ma anche culturale. L’estraneità fisica e di civiltà impedisce agli uomini di potersi «identificare» l’uno nell’altro, di sentirsi psicologicamente ed emotivamente «simili». È impossibile per un «bianco» comprendere fino in fondo i pensieri, le reazioni, la prossemica, le percezioni del «nero».
Se a questo dato «antropologico» sommiamo una diversità linguistica, storica, religiosa, di costumi, allora il senso di assediamento aumenta in modo vertiginoso e ci si rende conto che vivere su uno stesso territorio non significa affatto vivere insieme. Allogeni e autoctoni non condividono un destino nazionale, «comune». Gli stranieri vivono in una terra soprattutto per i vantaggi economici che ne traggono.
I sostenitori del multiculturalismo ignorano la cruda realtà dell’animale umano. Credono che dalla convivenza di gruppi etnico-culturali differenti nasca, automaticamente, amicizia e «contaminazione» culturale, che da una babele di lingue e tradizioni emerga un’umanità «meticcia» e pacifica. Le teorie multiculturali sono irrealizzabili, la vicinanza felice delle differenze è impossibile.
Ma così funziona la mente progressista: immune ai fatti, paralizzata nei suoi dogmi, moralmente idiota e schiava di una ortodossia fallace fatale per coloro che pagano il prezzo dei loro deliri.
Davide Cavaliere
Condivido appieno. Non può esserci integrazione . Conosco un uomo che vive e lavora in Italia da 15 anni. E’ di origine russa. Parla benissimo l’italiano e mai diresti che è straniero. Alla domanda ”sei cittadino italiano”? risponde ”mai e nemmeno voglio esserlo, sono russo e ritornerò in Russia. Nessuno rinuncia alla propria identità.