STATUE IMBRATTATE E LA FINE DEL MITO DELLA SOCIETA’ PACIFICATA (di Franco Marino)
Gli echi degli abbattimenti e imbrattamenti delle statue proseguono e piacevolmente scorgo come tali accadimenti stiano finalmente squarciando il velo sui pericoli che secoli di diritti stanno incontrando, ispirando così in me qualche riflessione sul tipo di epoca in cui viviamo.
Non ho mai avuto la tendenza millenaristica di credere di vivere in una fase decisiva per le sorti dell’umanità, prodromica di apocalissi e sconvolgimenti globali. L’umanità non procede per catastrofi ma per cambiamenti di equilibri. Ma se qualcuno mi chiedesse che tipo di fase storica stiamo vivendo, la definirei come la lunga morte dell’Ottocento e dell’idealismo, simboleggiata dalla caduta di un mito: la società pacificata.
Cos’è esattamente una società pacificata?
E’ una società che pretende di regolarsi rimuovendo ogni conflitto, inteso non necessariamente come scontro fisico ma come scenario nel quale una persona o una fazione di persone che condividono un identico interesse, tolgono ad un’altra persona o un’altra fazione di persone la facoltà di goderne, affrontando la marzialità tipica di tale evento, ossia che la vittoria non venga pianificata dall’alto ma che venga conseguita dalla fazione più forte.
Senza scomodare il fatto che non esistono, in natura, specie animali che non debbano lottare per poter contendersi risorse non rinnovabili e non infinite e/o per stabilire una primazia all’interno di un gruppo sociale, l’antistoricità di tale pretesa la si osserva semplicemente scorrendo la storia dell’umanità, dipanatasi attraverso guerre sanguinose, a seguito delle quali si sono avuti profondi mutamenti di equilibri. E come, dunque, la lotta e lo scontro siano un momento inevitabile della storia.
Affermare ciò non è indolore e ci pone nel mirino di chi ci accusa di giustificare la guerra e l’odio. Ma a parte la banale considerazione che le giustificazioni o condanne morali contano meno di zero, una cosa non accade se è giusta o no ma se ci sono le condizioni che accada o meno. Se un popolo ridotto alla fame si affida ad un imbianchino psicopatico con l’accento austriaco e crea il nazismo, sarà giusto, sarà sbagliato ma tant’è.
La legge di gravità è giusta o sbagliata? Sbagliatissima: a me piacerebbe volare, risparmierei il costo del biglietto aereo. Rimane il fatto che c’è e che se decido di ignorarla buttandomi dal decimo piano di un palazzo e illudendomi che mi spuntino le ali, è assai probabile (diciamo praticamente sicuro) che io mi sfracelli al suolo in mille pezzi e in una pozza di sangue.
Così analogamente il punto non è se la guerra o meno sia giusta. Se ci sono le condizioni, se un gruppo umano percepirà che l’unica possibilità di sopravvivere è sopprimere il gruppo nemico, guerra sarà e nessuno potrà farci un cazzo di nulla.
Di fronte alla tragica ineluttabilità di tale realtà, l’umanità si è illusa di creare una narrazione occultativa, sfociata nelle ideologie economiche (liberismo, socialismo, nazionalismo) e in quelle sociali (democratismo, femminismo) che nascono proprio nell’Ottocento. Quel secolo viene immediatamente dopo l’illuminismo, un’era grazie alla quale le scienze, le arti e l’intelligenza progredirono sino a provocare un profondo benessere che aumentò la popolazione e la durata della vita. A cui pur tuttavia non corrispose un aumento delle risorse. Le campagne si spopolarono e le città si riempirono, sviluppandosi in pochi chilometri quadrati e ottenendo come risultato terribili carestie che, ammassando enormi sacche di proletariato in spazi ridotti, favorirono la diffusione virale del malcontento, prodromica delle rivolte che ne seguirono. Tutto ciò fece capire alle elite politiche del tempo – quelle che non lo capirono, furono fatte letteralmente fuori – che se non si fosse tentato di costruire narrazioni che spegnessero la protesta, un’intera massa di nullatenenti affamati avrebbe letteralmente devastato TUTTE le classi dirigenti di TUTTO IL MONDO.
In sintesi, nel Settecento si mangiò a sbafo e il conto fu pagato nell’Ottocento.
Leggendo la storia, si scopre che già in passato si ebbero situazioni analoghe che puntualmente provocarono guerre devastanti e milioni di morti costituendo, per dirla con Marinetti, la vera e propria igiene del mondo.
Di diverso avviso è strutturalmente l’ideologia che partendo dal presupposto che i beni sono limitati e le persone sono troppe, cerca di creare una società dove gli inevitabili conflitti siano sopiti, da cui il concetto di “società pacificata”. Che non significa affatto una società dove manchi la violenza, anzi. Le società pacificate sono, in assoluto, le più violente, sebbene tale violenza avvenga in momenti differenti. Ciò che viene meno nella società pacificata è semplicemente il concetto di scontro, che viene sostituito da una pianificazione di massa da parte dell’elite dominante di come redistribuire le risorse, occultando la truffa di fondo di ogni ideologia: promettere una società dove se si segue la dottrina si sarà tutti felici e chi non la segue è un nemico da destinare ad una specie di inferno.
Non a caso, le ideologie e le religioni condividono moltissimi aspetti, dal manicheismo dei seguaci al millenarismo finale dove un’autorità, identificata in Dio o nel Capo politico, giudicherà tutti, promettendo un paradiso come destinazione.
Tutte queste costruzioni metafisiche e idealistiche, truffaldinamente vellicate dall’elite politica del momento, si scontrano con qualcosa di molto reale che è l’architettura del sistema nervoso umano, contro la quale ogni tentativo di andarvi contro si risolve in un sostanziale e sistematico fallimento. Che ha a che fare, semplicemente, con la propensione umana al “conflitto”, allo “scontro”, ossia la polvere che le ideologie nel corso di questi due secoli hanno tentato di nascondere sotto il tappeto della storia. Ed essendo le ideologie fondate sull’idealismo, ossia su quella fase della storia della filosofia in cui si è smesso di dimostrare ciò che si sostiene ma ci si è messi in testa di creare un tipo di società diversa, nuova, prima o poi impattano contro la grigia, sorda, tetra e inespugnabile fortezza della realtà.
Che ci dice che agli uomini non frega nulla né di liberismo, né di socialismo reale, né della propria patria. Tutto ciò che vogliono è avere quante più risorse possibili per vivere sereni e appagare i propri appetiti.
In tal senso, lo scontro tra sovranisti e globalisti SOLO IN APPARENZA è uno scontro identitario. E’ solo l’abile nascondimento di cose già accadute in passato, ossia un proletariato che si sta rivoltando, usando pretesti (il recupero della propria sovranità che non è il fine bensì il mezzo per abbattere il potere dominante) esattamente come in passato il terzo stato francese usava “libertè”, “egalitè”, e “fraternitè”, per ribellarsi all’ancien regime.
Soltanto che stavolta, diversamente dal passato, il conflitto è globale perché sovranazionale è l’ancien regime.
E trattandosi di uno scontro per la sopravvivenza, per appropriarsi di risorse, per forza di cose sarà un conflitto violentissimo che travolgerà tutte le costruzioni idealistiche che hanno tentato, attraverso l’illusione di una società pacificata, di rimuovere l’ineluttabilità del conflitto.
Ed è inutile illudersi. Non ci sono dialoghi, dibattiti, confronti civili che possano nascere tra queste due parti perché essendo entrambe animate da una reazione uguale e contraria – il globalismo nasce per sopprimere le sovranità, il sovranismo nasce per difendersi da questo piano – la loro pleonastica funzione è unicamente, strutturalmente e istituzionalmente quella di sopprimersi vicendevolmente. E questo perché per quanto il sovranismo possa ammantarsi di simboli e vessilli dal forte contenuto spiritualistico, alla fin fine non fa altro che rappresentare le ragioni di coloro che sono usciti sconfitti dalla redistribuzione operata dalla globalizzazione.
Così come, ovviamente, per quanto il globalismo possa ammantarsi di universalismo umanitario, alla fin fine non fa altro che rappresentare (su scala globale) le ragioni della classe dominante che, in quanto tale, in ogni spazio e in ogni tempo ha sempre guardato con disprezzo e paura le rivendicazioni di un popolo affamato.
E’ sufficiente vedere le bacheche di Twitter e di Facebook dell’una o dell’altra parte per rendersi conto del tipo di scontro. Da una parte, coloro che parlano di “lotta all’odio”, i quali mascherandola come battaglia di civiltà, semplicemente esprimono l’urgenza e la necessità di soffocare le ragioni dei cosiddetti odiatori. Dall’altra parte i sovranisti che auspicano processi di massa, rivolte, ribellioni. Tutte cose, nella loro potenziale tragicità, perfettamente normali e inevitabili. Ed anzi la vera notizia non è nel clima ma nel fatto, che personalmente trovo anomalo, che non si sia ancora giunti ad atti di violenza di massa.
La fase storica che stiamo vivendo non è nient’altro che la lunga morte della società pacificata e in generale che i conflitti si risolvano andando contro la realtà, contro il sistema nervoso umano che di fronte al tentativo da parte di una persona o di un gruppo di persone di appropriarsi delle proprie risorse, ha un unico modo di reagire.
Lottare per distruggere i propri nemici o costringerli alla fuga.
FRANCO MARINO
Credo e mi auguro che il sovranismo non sia solo il mezzo ma anche il fine.