ICONOCLASTIA, ANTIRAZZISMO E ALTRE CRETINATE
La prima cosa che fanno gli eserciti una volta entrati nelle città conquistate è quella di abbattere le statue del capo della nazione sconfitta. Lo fanno sotto gli occhi attoniti degli abitanti. Oppure, ciò avviene con il finto soccorso degli stessi che prima erano terrorizzati dal loro leader (che tuttavia “amavano”) e, poi, terrorizzati come sono dai nuovi arrivati, fanno finta di amare anche loro. Scene del genere ne abbiamo viste tante nel corso della storia, anche recentemente. Nel 2003, quando gli americani orchestrarono per tirare giù la statua di Saddam Hussein. Nel 2011, quando i ribelli decapitarono la statua di Gheddafi a Tripoli. E tante altre volte. Anche nella mia città successe qualcosa di simile. Di fronte alla Cattedrale di Messina, negli anni 1679-81, fu collocata una bella statua equestre di Carlo II di Borbone, che era una delle poche opere in bronzo del grande Giacomo Serpotta. Ebbene, durante i moti anti-borbonici del 1848, i messinesi buttarono la statua giù dal piedistallo e la fusero. Begli idioti!
È comprensibile, tuttavia, che in guerra accada questo. In fondo, in guerra si uccide, si annulla, si annienta: fa parte del gioco. Abbattere una statua, cancellare una figura, bruciare una bandiera sono azioni caratteristiche di quella contingenza.
Ogni forma di iconoclastia, di damnatio memoriae, è la cancellazione di un contenitore simbolico entro cui una comunità ha proiettato – a ragione o a torto – il proprio immaginario, quindi il proprio modo di essere al mondo. I vincitori che abbattono una statua non si accaniscono contro il simulacro – chiaramente – e neppure tanto contro l’effigiato – al quale magari hanno già fatto la festa –, bensì contro la comunità che il simulacro ha innalzato, rispecchiandosi in esso. I vincitori abbattono il simbolo per sancire ancor più il divario tra loro e gli sconfitti. E, non a caso, quasi sempre, le statue abbattute sono presto sostituite da simulacri di altri “eroi” imposti dai vincitori.
Ogni forma di iconoclastia è un omicidio simbolico, è il seppellimento definitivo di un elemento vinto. Ripeto, in guerra, una cosa del genere ha una sua ratio, anzi è sacrosanta. Ma oggi, oggi che in guerra non siamo, questa lotta alle immagini contro chi è rivolta? I personaggi presi di mira dai novelli iconoclasti, muti pezzi di bronzo o marmo sfregiati, bombardati, mutilati, chi cazzo li riconosce più? Chi cazzo vi si riconosce più?
Mi spiace per loro, ma prendersela contro la statua di Montanelli, a Milano,(opera di un certo Vito Tongiani, brutta per carità, se la si deve rimuovere è per motivi di ordine estetico non moralistico) perché in gioventù ebbe una sposa ragazzina etiope è una grandissima coglionata, completamente inutile. Abbattendo una statua chi si vuole punire, o meglio chi si vuole educare? Chi cazzo pensa a una schiava etiope, oggi come oggi? Chi schiavizza più ragazzine etiopi? Altro che schiavisti seguaci di Montanelli, l’Italia è zeppa di operai schiavi dei quali a nessuno frega una sega soprattutto non a questi fancazzisti ricconi, quali sono i sedicenti “antirazzisti” attuali. Parliamo di liberi-schiavi che lavorano h24 nei centri commerciali, o in qualsiasi altro inferno privato (domenica e festivi compresi). Schiavi che lavorano nei campi del Sud (e sono bianchi e neri, italiani e non), a raccogliere pomodori per tre mesi di fila, che a malapena riescono a pagare le bollette a fine mese! Questa è la comunità che più non si rispecchia in nessun simulacro.
In definitiva, oggi come oggi, abbattere una statua vuol dire solo abbattere una statua, un elemento di decorazione urbana, cioè rendere ancora più merdose le nostre già oltremodo schifose città. Begli idioti! Vuol dire anche, e la cosa è più dolorosa per chi ha ancora un cervello, far passare il concetto che la storia si può riscrivere a uso e consumo di una cerchia di persone. Riscrivere la storia perché il presente non interessa. Spostare il problema, da qualcosa di vero a un suo surrogato. Ora, il discorso su alcune problematiche generali oltremodo scottanti e tuttora irrisolte resta tuttavia ancora tutto da fare. Libertà, schiavitù, democrazia, tirannide, violenza, povertà, discriminazione, rivalutazione critica di periodi storici, di uomini ed idee: sono temi che ci toccano tutti. Fili scoperti di una società elettrica come la nostra che sembra sempre sul punto di prendere fuoco, ma che resta sempre uguale a sé stessa, incredibilmente disumana. Ma sono temi che non possono risolversi nell’affermazione della lotta cieca contro un simbolo ormai vuoto di senso e di carica, in una lotta che innanzitutto è sonno della ragione: un’ingiustizia non si lava con un’altra ingiustizia. I temi seri si risolvono nelle sedi opportune: la scuola innanzitutto, le aule della politica, le televisioni e i giornali. Ma in queste sedi tutto si fa tranne che cultura. In queste sedi non si vuole fare cultura, perché cultura è libertà, e la libertà fa paura a tanti. Almeno che si decida di cimentarci in una bella lotta civile e, allora, chi è più forte sopravvive e buonanotte al cazzo!
Andrea Italiano
Un artico profondamente vero, direi eccellente nella forma e nella sostanza.
Finalmente concetti chiari, nitidi, quasi lapalissiani, che tolgono ogni senso a una cosa che già senso non aveva, come l’ abbattimento di una statua, simbolo di cosa? Della lotta profemminista? Della lotta antifascista? La vera lotta dovrebbe essere quella di cui parla Andrea e cioè quella contro l’ ingiustizia del caporalato e dello sfruttamento dei lavoratori, ignobile in ogni epoca e in ogni cultura.Abbattere statue, pezzi simbolici di storia non serve a niente, anzi le statue semmai dovrebbero ricordare, come può fare un libro o un quadro, un’ epoca passata da fuggire, una cosa brutta da non fare più.
Bruciano statue, spaccano vetrine, ma non si occupano mai di imparare dalla storia che bella o brutta è la verità, quello che davvero è successo, la vera insegnante da cui apprendere. Bravo Andrea Italiano i miei sinceri complimenti.