L’EDITORIALE – I PRIVILEGI DELL’UOMO BIANCO… MA QUALI, ESATTAMENTE?
“Ripetete una bugia cento, mille, un milione di volte e diventerà una verità”. Conosciamo tutti questa citazione attribuita al Ministro della Propaganda nazista e non è difficile convenire sul fatto che contenga in sé una grande verità. Lo constatiamo ogni giorno. Basta vedere quanta gente crede a certe baggianate, come l’idea che gli italiani abbiano vissuto per decenni al di sopra delle proprie possibilità. È oscuro quali fossero queste e quando il limite sia stato superato, ma tale massima resta comunque la più gettonata tra i pensionati, al bar, per riprendere i giovani sfaccendati che bevono spritz.
Cionondimeno, una mente dotata di almeno un vago senso critico, al cospetto di una dichiarazione forte, come ad esempio “tutti i bianchi sono dei privilegiati”, non può fare a meno di guardarsi intorno e domandarsi se questa rispecchi la realtà o cerchi di imporre una visione colpevolizzante su una certa categoria. Dunque, facciamolo: volgiamo lo sguardo intorno a noi alla ricerca di tali privilegi.
Ieri, tanto per non allontanarci troppo, sono andato in un bar vicino a casa e lì mi ha raggiunto un amico, un ragazzo sui trentacinque che chiameremo P. Questo è un disoccupato cronico, laureato anche lui in Filosofia. O meglio, secondo il sistema di calcolo dei disoccupati, tecnicamente non lo è. Ogni tanto, su internet, vende per conto terzi qualche oggetto, soprattutto ricambi per macchine, e all’occorrenza fa qualche giornata, al nero, da muratore. Mi ha detto che, quando proprio i suoi introiti sono alti, incassa 400 euro. Con lui, infatti, ci vediamo una volta ogni morte di Papa perché, abitando in un paese limitrofo, spesso non ha i soldi per la benzina. A uno sguardo esterno, P. conserva comunque una sua dignità. Veste con straccetti da 10 euro, ma li sa portare ed essendo un bel ragazzo maschera bene. A ogni modo, eravamo lì seduti, al bancone, con due birre davanti – 5 euro di conto. Lo vedevo nervoso. Beh, è comprensibile: non ha un lavoro e vive con la madre e la sorella – badante la prima, estetista al nero la seconda. Insomma, non era neanche arrivato che già se ne voleva andare. La verità è che aveva fame. Avendo passato tutto il pomeriggio in città, non aveva ancora cenato alle ventidue. Direte voi, ma perché non si è preso qualcosa? Semplice, non aveva i soldi, perché aveva speso tutto in benzina. Per farla breve, gli ho dovuto offrire una pizza. Altri 5 euro – parlare con un amico ti costa, mica è gratis.
Lo so cosa state pensando: e quindi? Tutto sto pistolotto per dimostrare cosa? Niente, se non per indurre il lettore a domandarsi: quanti P. conosco? Io sono convinto siano più di quanti possiate credere.
E naturalmente – siccome cane sta con cane –, l’abbiamo finita a parlare con il ragazzo che ci serviva da dietro il bancone. Aveva più o meno la nostra età e, da diplomato, non aveva trovato niente di meglio di quel lavoro da poco più di 1000 euro. La sua fidanzata non ha neanche quello. Lui è occupato ogni giorno dalle 16, spesso fino alle 2, 3, addirittura 4 del mattino. Ci ha detto: “Ok, per il momento mi va ancora bene, ma tra 10 anni?”. Tra dieci anni, ho pensato io, ce la pigliamo in culo tutti e tre.
Continuerei volentieri, perché di storie simili ne ho per scrivere dieci romanzi – uno in merito al mondo dei cosiddetti “scoraggiati”, del resto, l’ho già pubblicato –, ma preferisco non insistere. Chi non vuole essere convinto neppure dalla realtà, non lo sarà mai – è una causa persa. Chi non vede quanto ci siamo impoveriti tutti, chi non nota l’ex classe media in coda alle casse dei discount, o è scemo o è in malafede. Mi ricorda quella mia amica di sinistra che, mentre faceva il Servizio Civile – 400 euro al mese –, continuava a ripetermi che il lavoro c’è, se uno ha voglia di fare. A quel punto, prendendola a viva forza, la portai in giro per ristoranti, tutto il pomeriggio, a chiedere un posto da cameriere. Nessuno volle neppure prendere in considerazione la nostra candidatura. Niente, la mia amica continuò a sostenere che il problema principale, in Italia, è l’accoglienza ai migranti. Non la chiamai più, perché d’accordo che siamo vittime della propaganda, ma se neppure quando sbatti sul muro te ne rendi conto, vuol dire che sei proprio un povero stronzo.
Matteo Fais