SULLE STRADE DI MINNEAPOLIS CON IL JOKER
«Non sono stato felice mai, neanche un minuto della mia vita del cazzo! Sai cos’è buffo? Cosa mi fa veramente ridere? Ho sempre pensato che la mia vita fosse una tragedia, ma adesso mi rendo conto che è una cazzo di commedia!» [Joker, Todd Phillips, 2019].
Il Joker non è più, soltanto, un personaggio dei comics. È la sintesi del 21st century schizoid man. Si pensi a Minneapolis, a New York City, alle altre città in fiamme negli Stati Uniti a seguito della morte di George Floyd: centinaia di protestanti sfilano indossando una maschera, sia essa la mascherina chirurgica anti-Covid o il volto di Guy Fawkes adottato dai seguaci di Anonymous. A colpire come un montante allo stomaco è l’immagine di un dimostrante di Chicago che, in stato di arresto, si volge all’obiettivo con un sorriso di derisione e scherno sulle labbra: un Joker appunto.
La maschera come strumento per apparire, guadagnare visibilità a discapito del nostro stesso volto, ignorato, calpestato e deriso. Quella medesima maschera che il Sistema vorrebbe vederci fissamente imposta, mortuario simbolo, con il sorriso sulle labbra di chi, servilmente, accetta il proprio disagio come condizione irreversibile. In una società di particelle elementari, per dirla alla Houellebecq, l’unica chance – sia essa il rosso o il nero – che abbiamo per essere riconosciuti è di uniformarci in una massa critica votata al sovvertimento del tutto. Perché la maschera è esattamente lo strumento con cui l’uomo ridestato di Nietzsche marca la sua distanza dal mondo del ϕαινόμενον: «Ogni spirito profondo ha bisogno di una maschera» [F. Nietzsche, Al di là del bene e del male].
Nella pellicola di Todd Phillips del 2019, Joker, il protagonista magistralmente interpretato (maschera nella maschera) da Joaquin Phoenix, si pone precisamente l’interrogativo del riconoscimento:
«Per tutta la vita, non ho mai saputo se esistevo veramente. Ma io esisto. E le persone iniziano a notarlo.»
Nell’incarnazione di Heath Ledger (Il cavaliere oscuro, Christopher Nolan, 2008) l’aspetto sovversivo e anarchico dell’agente del caos è ben più rimarcato: «Se volete l’ordine a Gotham, Batman deve togliersi la maschera e andare a costituirsi». Batman, il paladino della Legge e pertanto del Sistema, per garantire l’ordine deve smascherarsi dinanzi al mondo e rendersi pari all’intera massa damnationis che cerca riscatto nella lucida follia del Joker.
Il nodo che tutto abbraccia è in questa duplice lettura dell’ordo come deriva e fallimento della naturale inclinazione umana alla fratellanza. Ne Il cavaliere oscuro Ledger, durante un colloquio serrato con Batman, afferma: «Quando le cose vanno male, queste… persone “civili” e “perbene” si sbranano tra di loro. Vedi, io non sono un mostro; sono in anticipo sul percorso». Che coincidono quasi alla lettera con quanto Phoenix dichiara in diretta televisiva a conclusione del suo “numero” più riuscito, lo “smascheramento” della falsità cui tutti noi siamo assoggettati:
«Joker: fossi stato io a morire sul marciapiede, mi avreste camminato sopra! […] Ti sei accorto di come è diventato là fuori, Murray? Ti capita mai di uscire dallo studio? Sono tutti lì a strepitare e urlare l’uno contro l’altro. Non c’è più nessuno educato! Nessuno più prova a mettersi nei panni dell’altro. Credi che uomini come Thomas Wayne si chiedano cosa vuol dire essere uno come me? Essere una persona diversa da loro? Non lo fanno. Sono convinti che ce ne staremo lì seduti in silenzio come bravi bambini, che non ci trasformeremo in lupi mannari!!!»
Ancora Ledger nella pellicola di Nolan: «Ho notato che nessuno entra nel panico, quando le cose vanno “secondo i piani”… anche se i piani sono mostruosi. Se domani dico alla stampa che un teppista da strapazzo verrà ammazzato o che un camion pieno di soldati esploderà, nessuno va nel panico, perché fa tutto parte del piano. Ma quando dico che un solo piccolo sindaco morirà… allora tutti perdono la testa! Se introduci un po’ di anarchia, se stravolgi l’ordine prestabilito… tutto diventa improvvisamente caos. Sono un agente del caos. Ah, e sai qual è il bello del caos? È equo.»
L’eletto, ancorché reietto, è tale perché ha facoltà di decidere dell’Ordine (Ordo ab Chao, come intese la Massoneria anglo-sassone quando impose il proprio imprimatur sulla politica americana), perché è l’Oltreuomo di Nietzsche che stabilisce la morale (Al di là del bene e del male). È, in questo, un novello Raskòl’nikov; ed è, con tutta evidenza, proprio il Dostoevskij di Delitto e castigo il riferimento implicito nella trasvalutazione di tutti i valori che il Joker propone:
«La povertà non è un vizio, questa è una verità. […] Ma la miseria, egregio signore, la miseria è un vizio. In povertà riuscite ancora a conservare la nobiltà di sentimenti in voi innati, ma in miseria invece mai nessuno ci riesce. […] Non ho ucciso per farmi, acquistata ricchezza e potenza, il benefattore dell’umanità. Sciocchezze! Ho ucciso semplicemente; per me stesso ho ucciso, per me solo […] Altro avevo bisogno di sapere, altro mi spingeva: avevo allora bisogno di sapere, e di sapere al più presto, se io fossi un pidocchio, come tutti, o un uomo.»
Sia benedetto il Joker, questo archetipo del Folle presente anche nei tarocchi maggiori, che fa saltare il banco. La morale, quella, lasciamola ai benefattori dell’umanità, ai Bruce Wayne o ai fin troppo reali Bill Gates, coloro che Céline lapidava in Morte a credito: «Sono dei bei rompicoglioni, i filantropi».
Luca Ormelli
Nel caos “equo”, l’uomo dimenticato e calpestato dal sistema, si re-impossessa di quell’identità che più dei soldi e di una ben definita ricchezza economica, ristabilisce la sua dignità di persona e come tale in diritto di chiedere visibilità e diritti che altrimenti non avrebbe. La vera maschera la porta il potere, una maschera non del folle joker, ma quella del giusto che in virtù del tuo bene sanitario e sociale ti chiede-ordina-legifera regole e leggi che all’ombra di una paura palesata, ti imbriglia e ti chiede per il tuo bene, di seguire.