Il Detonatore

Facciamo esplodere la banalità

EDITORIALE CORALE – BUON SAN VALENTINO – DI COSA PARLIAMO, QUANDO PARLIAMO D’AMORE (a cura di Matteo Fais)

“C’è stato un momento in cui credevo di amare la mia prima moglie più della vita, abbiamo anche fatto dei figli assieme. Invece ora la detesto con tutto il cuore. Davvero. Voi come lo spiegate? Che cosa è successo a quell’amore? È stato semplicemente cancellato dalla grande lavagna, come se non ci fosse mai stato scritto, come se non fosse mai successo? Vorrei tanto saperlo che fine ha fatto (Raymond Carver, Principianti).

CONTRO L’AMORE (di Matteo Fais)

L’amore diventa merda/ Dopo due settimane/ I miei amici hanno figli figli figli/ Io ho sempre fame (Edda, Anna)

Non ho mai capito cosa sia l’amore. Un po’ come per il tempo secondo Sant’Agostino, se nessuno me lo chiede ne ho un’idea, ma se me lo domandano… Anche perché, quando ci penso, non sono portato all’astrazione, alla ricerca del platonico. Con la mente, torno a una canzone, a un film, un gesto, un risveglio particolarmente dolce con qualcuno. Mi vengono addirittura in mente le sagge parole di un’amica, da ragazzini: “Io e te non abbiamo mai amato. Abbiamo sofferto per un’idealizzazione. In verità, con la persona che diciamo di adorare non abbiamo mai vissuto, né la conosciamo nel quotidiano. Ci limitiamo a sognarla, ma quello non è amore”. Insomma, la confusione, in tal senso, regna sovrana nella mia testa.

In un certo qual modo, so anche di essere stato per lungo tempo – forse non dichiaratamente, ma de facto – contro l’amore, come recita il titolo di quel famoso libro di Laura Kipnis, almeno se lo si intende come è in Occidente, ovvero nella sua declinazione monogamica. Tra parentesi, quasi nessuno di noi vive realmente la monogamia, ma piuttosto una serie di relazioni chiuse che sul lungo termine si riducono a una poligamia dilazionata.

Il più famoso libro di Laura Kipnis, Contro l’amore, pubblicato in Italia da Einaudi.

Sono arrivato ad avere anche quattro amanti contemporaneamente. Eppure, non mi si deve immaginare come un bruto o uno che fa schiavismo sessuale. Se si vuole, ognuna era una relazione a sé stante, con i suoi codici e i suoi rituali, i suoi piaceri particolari e irripetibili. Quelle che sapevano mi chiedevano “Ma come puoi?”. “Posso perché è come se vivessi più vite contemporaneamente, senza che nessuna intersechi l’altra”: questa era ogni volta la mia risposta. No, non sono un funambolo dell’amore, ma uno nessuno e centomila persone contemporaneamente.

Ciò di cui sono certo, però, è che l’amore – inteso come sentimento dell’esclusività e della sintesi della propria affettività verso un unico soggetto – sia fondamentalmente morto nel nostro mondo globale. Non è proprio più possibile, se non come scelta fuori dalla norma, come andare a vivere nei boschi rifiutando la città.

Per una donna di inizio Novecento, e più o meno fino alla fine degli anni ’60, era tendenzialmente normale avere un solo compagno per l’intera esistenza – e non molto diversamente capitava al maschio medio, esclusa forse qualche puntatina al bordello. Oggi, siamo tutti liberi. Ho visto ragazze e donne reazionarie con una vita promiscua quanto quella delle progressiste – se non di più. Purtroppo, questi continui salti mortali di amore in amore, questa sete di esperienza, questa curiosità di indagare le opportunità esistenziali, uccidono la possibilità del rapporto esclusivo per come si è sempre concepito.

Io credo che, nel giro di qualche decennio, non ci saranno più matrimoni, ma contratti rinnovabili. Ci prenderemo e ci lasceremo, come peraltro facciamo già da tempo. Del resto: perché sistemarsi? Arrivati a una certa età, visto che non ci si sposa più da giovani, “capita l’antifona” e saggiato il rischio in ballo, meglio non essere l’uno dell’altra, se non fin tanto che ci garba. Non so neppure se superato un certo limite temporale sia realmente possibile provare amore, nel senso di un trasporto che abbandona la razionalità per volgere alla follia. Non per niente, se una certa visione ha trionfato, un motivo ci sarà.

Cionondimeno, so fuor di dubbio che tale tendenza è mortale e ucciderà il mondo occidentale. Lo vediamo già intorno a noi. Donne e uomini soli, tra i 40 e i 50, murati vivi in un monolocale, sofferenti di insonnia e dipendenti dallo Xanax. Abbiamo una libertà che tende all’autodistruzione e di cui ci compiaciamo come di una pistola che, in ultimo, può solo essere usata contro noi stessi.

No, da questa libertà non c’è scampo, anche se l’esclusività è una costruzione antropologica e una truffa, il matrimonio una promessa che non può valere per la vita – “le persone cambiano”. Da una parte è l’inganno, ma dall’altra è il baratro.

Matteo Fais

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L’AUTORE

MATTEO FAIS nasce a Cagliari, nel 1981. È scrittore e agitatore culturale, fondatore, insieme a Davide Cavaliere, di “Il Detonatore”. Ha scritto per varie testate (“Il Primato Nazionale”, “Pangea”, VVox Veneto”). Ha pubblicato i romanzi L’eccezionalità della regola e altre storie bastarde Storia Minima, entrambi per la Robin Edizioni. Ha preso parte all’antologia L’occhio di vetro: Racconti del Realismo terminale uscita per Mursia. Da ottobre, è nelle librerie il suo nuovo romanzo, Le regole dell’estinzione, per Castelvecchi.

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IN AMORE NON SERVE ESSERE SANTI, MA RIUSCIRE A REDIMERSI (di Clara Carluccio)

Michelle Houellebecq sostiene che l’amore non possa più attecchire in una persona che si è data al vagabondaggio sessuale. Troppi amanti, troppe discoteche, impoveriscono l’essere umano e la sua capacità di emozionarsi. Eppure, io concederei maggior fiducia proprio a un uomo che ha sperimentato quella condizione. Non deve essere un passaggio obbligatorio, però, a volte, è dopo aver vissuto negli eccessi, che si può trovare un equilibrio. Purché lo si voglia. Mi viene in mente Claudia Koll, criticata per aver sentito la sua vocazione dopo anni di film erotici. Penso, invece, che la sua scelta possa avere fondamenta molto più forti, proprio grazie alla sua esperienza.

Allo stesso modo, il collezionismo di amanti, o anche di pratiche perverse, può portare ad una conoscenza di sé stessi, dello squallore, della bestialità che emergere dai profondi precipizi della nostra anima, tale da indurre una volontà di cambiamento – almeno in chi un’anima ce l’ha e percepisce un malessere.

Da sempre, l’umanità è composta per la maggior parte da esseri rozzi e superficiali. Il tempo che viviamo ha solo permesso che questi emergessero con orgoglio. Va da sé che il degrado sperimentabile da queste persone non possa certo portare a un rivelazione. Nel loro caso, non si parlerebbe nemmeno di degrado, ma di semplice affinità.
Meglio un uomo che prenda atto della sua impossibilità a mantenere una relazione con i sacri crismi, di uno che accetta il matrimonio come un condannato a morte. Ridicoli gli addii al celibato, dove il fidanzato si concede un’ultima nostalgica e disperata notte di svago, tra bevute e corna. Come se un vero fedifrago smettesse di tradire dopo la cerimonia. Preferisco morire zitella che essere vista come una strega che ha messo un cappio all’uccello di un poveraccio. Una relazione non può essere solo quello.

Qualcuno potrebbe dire che la fedeltà è una fissazione femminile, una chimera, una violenza contro la natura dell’uomo. Escludendo casi in cui ci si mette assieme per noia, tristezza o interesse, la persona con cui scegliamo di stare dovrebbe darci quella completezza che, da soli, non riusciamo a raggiungere. Un misto di pregi e difetti, forza e debolezza, che sintetizzi le due personalità di partenza, generando una nuova entità, con un obiettivo comune. L’amore dovrebbe essere quella “attitudine a sintetizzare la totalità dell’altro sesso in un unico essere amato” e, in questo, sono assolutamente d’accordo con Houellebecq. 

Clara Carluccio

LA TRAIETTORIA DELL’AMORE: LA VERTICALITÀ DELLA CONOSCENZA INTERIORE

Ma dove finisce l’amore, quando le parole si chiudono in silenzi o esplodono in urla affilate? O forse non finisce, ma siamo noi che non lo troviamo più perché semplicemente si nasconde cambiando volto e forma? Se l’amore è solo un sentimento si addensa o evapora al mutare del tempo e delle stagioni, agita le polveri interiori e con identica violenza è capace di invertirne la polarità: l’attrazione gioiosa diventa improvvisa repulsione. È un amore che cerca un appiglio nella realtà, ma non lo trova e si muove girando su sé stesso. È un amore orizzontale che trasforma ogni stanza in un presentabile bordello, dove il piacere e la materialità del vivere trovano la perfetta accettazione sociale.

Ma dove finisce il sentimento? Per rispondere dobbiamo prima riconoscere dove ha inizio. È lo Spirito-Amore che anima e guida l’amore della coppia nel passaggio dall’orizzontalità alla verticalità.  Il movimento non è più circolare ma acquista una direzione verso cui fissare lo sguardo. Un sentimento che si eleva e si fa canale di conoscenza: questa è la foce di ogni vita, il comprendere chi siamo (gnōthisautón) e quale irripetibile compito è stato assegnato a ciascuno di noi.

«Fratelli, cercate di render sempre più sicura la vostra vocazione e la vostra elezione. Se farete questo non inciamperete mai. Così infatti vi sarà ampiamente aperto l’ingresso nel regno eterno del Signore nostro e salvatore Gesù Cristo» (2Pt 1,10-11)

In questo estratto della lettera di Pietro è tutta la verità dell’essere cristiano. Eppure, nulla è più disconosciuto nella sua profondità e vastità. Il percorso del cristiano è diventare un “piccolo Cristo” secondo verità, secondo la propria specifica “elezione”; questa è l’immagine che Dio ha inscritto in ogni uomo, che va prima scoperta e “sposata” e conseguentemente portata a compimento nell’arco di una vita. Amare è aiutare l’altro a conoscere il proprio destino e realizzarlo, “farsi custode del destino di chi ci è affidato”. Questo destino non è scelto e non va assolutamente sovrapposto a quella che può essere una sincera passione. Somiglia a quello che Platone chiamava il daimon, è una forza che se assecondata trascina inesorabile verso la meta finale.

Se questo sembra già molto, una sfida quasi eroica, nell’amore cristiano c’è ancora un di più. La coppia diviene per grazia sacramentale una nuova “personalità spirituale”. Anch’essa deve andare in cerca della sua “elezione”, la strada verso la meta diviene quindi una strada a due corsie. Le singole vocazioni non vengono meno, ma trovano la loro sintesi in questo nuovo “corpo” che è la coppia. La vocazione di ognuno si integra nella vocazione comune.

Se da un lato possiamo amare solo ciò che conosciamo, l’amore aumenta la volontà di conoscenza. Ogni relazione è come uno specchio davanti alla nostra coscienza e più la relazione è intima più lo specchio si fa nitido. Attraverso l’altro noi ci immergiamo nei nostri lati oscuri, un movimento esteriore che sospinge una dinamica interiore. L’amato e l’amata sono sì due figure carnali e definite, ma sono anche vicendevolmente il “polo maschile” e il “polo femminile” che devono celebrare le nozze interiori e divenire infine “un’anima vivente”.

Amore e conoscenza sono la coda e la punta della stessa freccia scoccata verso il lontano bersaglio. Quando si fatica ad amare è perché si fatica nella verità e quando ci si scosta dalla verità viene meno anche l’amore.

A volte lo specchio ci rimanda un’immagine in cui non vorremmo riconoscerci e allora opponiamo resistenza e per rabbia lo scheggiamo. L’amore è dunque anche fatica, è sudore della salita nel ricordarsi ogni giorno che nella vita abbiamo uno scopo preciso. Il mondo proverà a virare con forza il nostro timone facendoci perdere la rotta e altrettanto faranno i demoni sguinzagliati a dovere contro coloro che cercano di condurre la nave in porto.

L’amore coniugale in senso cristiano non è un bonifico anticipato a garanzia di una futura vita eterna dove l’ossequio dei precetti morali diviene illusoria certezza di immortalità. È invece un viaggio affascinante e pericoloso che un poco alla volta toglie le incrostazioni dello sguardo, perché infine tutta la Realtà sia trasfigurata, scoprendo già qui l’eterno.

Lo sconforto però non vi rapisca. Il presentabile bordello appare certamente a portata di mano, ma sotto il tappeto della soddisfazione terrena si sedimenta la polvere dell’insoddisfazione dell’anima che, al traslocare da questo all’altro mondo, domanderà di aver parola. A ognuno la scelta.

Belinda Bruni e Massimo Selis

GLI AUTORI

Massimo Selis e Belinda Bruni, incontratisi nel 1998 fra le grigia mura della Facoltà di Psicologia a Roma, hanno comunque deciso di vivere assieme e di generare nuova vita su questa terra. Consapevoli di tanto azzardo, negli anni si sono occupati di educazione e di promozione alla lettura per i ragazzi. Lui, però, non ha rinunciato alla sua prima vocazione di muoversi anche nel “territorio nemico” del cinema, dove confida ancora di poter dire la sua. Loro pubblicazioni sono apparse su: Quaderni della Sapienza (edizioni Irfan), la rivista d’arte Dionysos (edizioni Tabula Fati), Il CentuploAd Maiora MediaL’intellettuale DissidenteCulturelite Il Pensiero Forte.

AMORE E INTERCULTURALITÀ – OGGI, PER AMARE, TI DEVI CERCARE UNA DONNA CHE VENGA DA UN ALTRO MONDO (di Andrea Sartori)

Viviamo in un’epoca di matrimoni interculturali. Ma cosa significa davvero convivere e amare una persona che proviene da una cultura diversa? Le differenze antropologiche contano?

Inutile negarlo: esistono, ma esiste anche l’altra faccia della medaglia, un arricchimento capace di farti vedere il mondo con altri occhi.

In realtà il mio matrimonio, con una russa, è molto meno traumatico di tanti altri. Ad esempio, non vi è una vera e propria differenza di religione, come nei matrimoni interetnici coi musulmani. Non è un argomento secondario, in quanto la religione marchia a fondo le culture e anche i non credenti sono segnati dalla loro tradizione religiosa a volte inconsciamente. Un russo è, poi, fondamentalmente un europeo, e non vi sono quelle lontananze di vedute, spesso per noi incomprensibili, che ci dividono da cinesi o giapponesi.

Tuttavia sussistono delle diversità dovute alla storia recente e ad una certa impostazione che risente forse ancora dell’esperienza sovietica. La più manifesta è nella gestione del denaro. I russi risentono ancora del fallimentare esperimento economico sovietico che li ha privati della capacità di gestire i soldi e spendono con una nonchalance pericolosa. Spesso giustificano questa loro tendenza riportando il grande trauma della caduta dell’Urss, quando il rublo si svalutò in maniera così forte che il denaro necessario per acquistare un’automobile bastava a malapena per comprare un pacchetto di biscotti. È una specie di fatalismo, il loro, un “del doman non c’é certezza” che cozza contro il tradizionale senso italiano del risparmio privato.

I russi sono testardi. Se la moglie si mette in testa una cosa, quella è. E si deve fare, anche se le avete dimostrato con formule matematiche che è un suicidio. Anzi, più una cosa è follemente rischiosa, più ne sentono il fascino. Il russo inoltre, se ritiene una regola sbagliata, disobbedisce senza problemi. E trova anche maniere ingegnose per farlo, a differenza dell’italiano che si lamenta al bar, ma poi obbedisce caninamente a tutto. Anche questa è un’eredità sovietica. Nell’Urss la censura era fortissima, ma i russi la aggiravano con grande abilità: come ad esempio incidendo i dischi dei proibitissimi Beatles su lastre radiografiche, per farli passare meglio. L’italiano è molto più pauroso, quando si tratta di rischiare e l’abbiamo visto con la pandemia. In famiglia siamo tutti e due contro le mascherine, ma il sottoscritto, in casi estremi, si piegava a metterla (male). Mia moglie, piuttosto, ha lasciato la spesa alla cassa.

A differenza di un certo stereotipo, la donna russa è estremamente fedele e paziente. Ho avuto amiche, a Mosca, devotissime a fidanzati italiani praticamente scomparsi nel nulla. Sono delle vere e proprie penelopi.

Inoltre, le donne russe sono donne. Si impegnano sempre per essere estremamente femminili. Non comprendono il femminismo occidentale, ritenendolo una grande scemenza. E questo è l’aspetto che piace di più a noi italici maschietti. Non ne vedrete mai una in tuta. La mia signora è femminile anche quando deve andare a buttare l’immondezza. Inutile negarlo, questa femminilità prorompente è la differenza culturale che attira di più noi masculi destroidi costretti a vivere in un mondo di donne camioniste o femministe seduttive come un paracarri. Così come non possiamo non apprezzare la differenza culturale per cui, parlando di questioni oggi spinose, la femmina russa non si farà mai menate politicamente corrette. Anzi, le percepisce come una follia. Per lei, esiste un’unica famiglia e deve essere quanto più tradizionale possibile.

In realtà, a noi paiono differenze culturali perché privi di memoria, ma convivere con una di loro è come avere al proprio fianco una donna italiana degli anni Ottanta. Forse anche per questo amano così tanto le nostre commedie di allora: un poco ci si rispecchiano in quel momento in cui eravamo ancora tutti sani di mente.

Sposarsi con una russa è come prendere la Delorean e tornare indietro di quarant’anni: è recuperare un mondo per noi perduto. E sì, forse a livello pratico l’eredità sovietica del non saper gestire il denaro è uno scoglio, ma ne vale la pena per tutto il resto.

Andrea Sartori

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L’AUTORE

Andrea Sartori è nato a Vigevano il 20 febbraio 1977. Laureato in Lettere Antiche presso l’Università degli Studi di Pavia. Ha vissuto a Mosca dal 2015 al 2019 insegnando italiano e collaborando con l’Università Sechenov. Attualmente collabora presso il settimanale “L’Informatore Vigevanese”. Ha pubblicato con IBUC i romanzi Dionisie. La prima inchiesta di Timandro il Cane (2016) e L’Oscura Fabbrica del Duomo (2019) e, con Amazon, Maria. L’Eterno Femminino (2020)

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IL MIO SAN VALENTINO DA OMOSESSUALE DI DESTRA (di Paride Candelaresi)

Omosessuali decadenti, narcisisti, attorcigliati su sé stessi, irrisolti. Li ho osservati bene quelli che hanno deciso di condividere con me la stessa metà del cielo, i miei simili. Incerti, controversi, maliziosi, paranoici, sconnessi. Quelli che vedono il sole splendere anche quando fuori tira tempesta e quelli che trasformerebbero in tragedia persino il finale di Harry ti presento Sally. Guai a dirglielo, però! Si offendono.

Avevo 14 anni la prima volta che sono stato attratto sessualmente da un uomo. Lui si stava facendo la doccia nella piscina comunale vicino a casa. Puntai al suo corpo guardando esclusivamente l’anatomia: i peli, i nervi, il fascio di muscoli che emanava ai miei occhi inconsapevole bellezza. Dopo, mi ci volle tempo per capire. Imparare a sciogliere i nodi del proprio IO non è proprio una gita in barca, ve l’assicuro. Semplificando, la ricerca dell’identità è il nucleo dell’esistere, dell’esserci qui ed ora.

Ma non facciamola lunga. Come si manifesta, oggi, il mondo ai gay? Da una parte c’è un universo di Destra che si palesa in tutta la sua manifesta ignoranza, non conoscendo temi, esigenze, vizi e virtù della comunità LGBTQ – e qualche altra consonante che ora non ricordo. Voglio dire, uno la Destra prova pure a difenderla ma, diciamocelo, non è che ci vada l’oracolo di Delfi per scoprire che i fulmini di guerra non siano di casa a quelle latitudini. Qualche esponente più illuminata, negli anni, ci ha provato a imbastire due o tre castronerie a favore dei diritti civili, ma il risultato il più delle volte è stato pietoso.

Avete visto la scorsa settimana la rediviva Christina Aguilera, completamente rifatta, intonare il suo celebre inno alla diversità, la canzone Beautiful? Ma io dico – come fai a cantare “You are beautiful, no matter what they say” (Sei bellissima, non importa quello che dicono), con il botulino che ti esce dalle orecchie? Ecco, la Destra più o meno ha ottenuto lo stesso risultato posticcio. La cantante americana, nel videoclip del brano in questione, poneva l’attenzione, fra l’altro, su temi come la bulimia, l’omosessualità, l’essere sé stessi. Il suo bellissimo pezzo ebbe un grande impatto culturale. Peccato che oggi, le stesse persone che osannavano il messaggio della canzone – ovvero l’importanza di sapersi accettare con tutte le proprie imperfezioni e diversità – esaltino la platinatissima cantante come nuovo modello di donna forte, indipendente, che può rifarsi come una bambola di cera, senza doversi sottomettere a regole e convenzioni della società e, soprattutto, senza essere giudicata.

La Sinistra, d’altro canto, la sua parte l’ha fatta. Si è prodigata nel tutelare i diritti dei più deboli. Nel farlo, però, gli è scappata un po’ la mano. Ha trasformato ogni battaglia ideologica in una manifestazione politica, in uno sbandieramento colorato, in un lasciapassare per imporsi a prescindere. Perché si sa, l’occasione fa l’uomo ladro, e la Destra, diciamolo, le occasioni non gliele ha di certo fatte mancare. Onore al merito, dunque, a chi ha avuto sensibilità e tenacia sufficienti per portare a casa qualche risultato, come la legge 76/2016 che, finalmente, ha regolamentato e permesso le unioni civili fra persone dello stesso sesso. Qualcuno, lo so già, in un futuro non troppo lontano, farà di tutto per modificarla, travisarla, abolirla. Ed ecco alzata di nuovo la palla agli avversari che, più sensibili – e implacabilmente più scaltri – si assicureranno un’altra vittoria.

Come vive, dunque, l’omosessuale di oggi la festa di San Valentino? Come tutti, ovvero come le persone che intendono esplorare le infinite possibilità che amore sconnesso e sessualità ingarbugliate hanno da offrire. Ma andiamo per tentativi, l’amore può celebrarsi come una vittoria sportiva, una prova di resistenza, una festa religiosa; oppure come una bisboccia del proprio Io che vince – ma quando mai? – sul sé e che si accomoda in favore dell’Altro. L’amore diventa un banchetto, luogo di poesia in cui intonare canti, un simposio in cui scatenare impulsi e pulsioni, sessualità, carne, vino, feticci, erotismo. Gli esseri umani sono in continuo movimento, basta guardarli. Corpi in moto perpetuo come un ammasso disordinato di rozza materia tenuta viva da inesauribile energia. L’amore mi pare questo, un aggeggio che due o più persone si adoperano per farlo funzionare; un reiterato tentativo di schivare il caos, di fare ordine e sottrarsi alla confusione. Di fronte a una grande storia d’amore, tutti non facciamo altro che chiederci: “E poi come va a finire?”. Etero moralisti, omosessuali repressi, risolti o irrisolti, cuckold amorevoli, mistress violate, amanti perversi, cuori sfasciati, anime morte e cani perduti senza collare. Proprio tutti se lo chiedono: “Ma poi come cazzo va a finire?”.

Paride Candelaresi

Email: paridecandelaresi@alice.it

WhatsApp: 345 8701353

Instagram: Leggendoatestaalta https://instagram.com/leggendoatestaalta?igshid=1omy5v5upqgmo

Paride Candelaresi, 35 anni, ciociaro fuori e sabaudo dentro. Scrive per diverse testate locali e va dritto al punto. Propaga fervori sulla sua pagina Instagram dedicata ai libri. È consigliere comunale e Presidente della Commissione Cultura del Comune di Asti. Sostiene “Do fastidio, ma ho il cuore tenero”.

L’AMORE AI TEMPI DEI SOCIAL NETWORK (di Franco Marino)

Confesso di essere preda del blocco dello scrittore, in quanto sull’argomento non ho proprio nulla da dire. Così ho deciso di chiudere gli occhi e pensare a cosa sia per me l’amore. Mi accorgo che buona parte di ciò che penso sia non è ricostruibile a parole.

Sono totalmente insensibile alle decantazioni in merito, quelle che un tempo erano dipanate attraverso poesie e, oggi che Facebook dà spazio a chiunque, vengono distribuite attraverso post sentimentali che vediamo abbondare nelle bacheche. E aver avuto un’esperienza sentimentale con una persona orribile che ama raccontare in versi e racconti le sue finte ed egoistiche emozioni, me l’ha confermato.

Amore è tantissime cose, nessuna delle quali ha a che fare con la letteratura. È la voglia di sprigionare erotismo sul corpo di un’altra persona. È un bonifico non richiesto in un momento di grave crisi economica. È una persona che vede l’altra in grave difficoltà e non la tormenta creandole problemi inutili. È chi intuisce dal semplice tono della voce che qualcosa non va in noi e non ci tormenta chiedendoci “Hai bisogno di me?”, ma viene a prenderci direttamente a casa. È tantissime cose che non so e attendo di scoprire, nessuna delle quali è restituibile dalla parola scritta, di cui non rinnego la valenza artistica, ma considero per quel che è: niente che abbia a che fare con l’amore vero, né tantomeno con Facebook o altri social. Ho sempre trovato patetico, qui, le dichiarazioni d’amore e di odio. Quelli che vogliono darlo l’amore sono impegnati ad amare e non hanno tempo per scrivere fesserie sui social media.

Lo schema è classico: smielate di dichiarazioni d’amore, link condivisi, foto di abbracci, coccole, qualche volta anche manifestazioni paraerotiche – per fortuna sembra tramontata, ma è stata un tormentone per lungo tempo, la moda degli account di coppia. Il comune denominatore, però, resta il medesimo: esibirsi, far credere al mondo che tra sé e un VIP non vi sia differenza.

E così, io schivo nel raccontare i fatti miei, io che quando parlo della mia vita lo faccio col medesimo pudore di quanto vado in costume al mare, mi scopro attorniato da un’umanità che il pudore l’ha smarrito tra Grandi Fratelli, Isole dei (non più) famosi e non vede quanta bellezza c’è nel chiudersi in un amore folle, pieno ed esclusivo, lontano da occhi lascivi e indagatori.

Si può usare Facebook, ma è un delitto smarrire la magia di dichiarazioni d’amore scritte a mano o pronunciate a voci, occhi contro occhi. E, se un giorno la magia si spezza, è ancor più delittuoso sporcarla con post di odio. Anche l’amore più tetro, cupo, deludente, ha avuto i suoi quarti di magia. Che non meritano l’odio meccanico di una tastiera e un wifi.

Franco Marino

Un commento su “EDITORIALE CORALE – BUON SAN VALENTINO – DI COSA PARLIAMO, QUANDO PARLIAMO D’AMORE (a cura di Matteo Fais)

  1. Quando quella Belinda scrive mi sparerei alle palle, è assurda a dir poco, ma perché non si crea un blog tutto suo in cui buttar giù tutte le sue teorie astratte? Robe da matti, tutti gli altri con le loro diverse opinioni bene o male estrapolano un pezzo di verità, ma quando è il turno di questa non arrivo neanche a metà a leggerla. E poi fa ridere che si firmi sempre e comunque con il marito, per esperienza mia e di amici le donne più vogliono mettere in risalto il loro stato civile e più hanno qualcosa da nascondere. Come minimo tradisce il marito alla grande! Fais io ti stimo ma fatti un favore, niente pu****ne nel tuo sito. Portano sempre male.

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